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1990
1 gennaio 1986
Libro universitario
320 p.
9788826307497

Voce della critica

TUSTIN, FRANCES, Protezioni autistiche nei bambini e negli adulti

TUSTIN, FRANCES, Barriere autistiche nei pazienti nevrotici
recensione di Di Carlo, A., L'Indice 1991, n.10

Questi due libri di Frances Tustin ci aiutano a pensare una condizione umana estrema, una condizione di isolamento, di smantellamento della mente, che possiamo definire singolare e rara, quella dei bambini autistici. L'autismo infantile precoce è stato descritto per la prima volta in forma differenziata da Leo Kanner in un articolo del 1943. Descrivendo il comportamento di un bambino di cinque anni, la sua solitudine, il suo distacco dalla realtà, Kanner osservava come per il piccolo Paul le persone in quanto tali non esistessero, esse sembravano non interessarlo: "non faceva nessuna differenza il fatto di rivolgersi a lui in modo amichevole oppure aspro. Non guardava mai la gente in faccia. Quando doveva avere qualche rapporto con le persone, le trattava o meglio trattava parti di esse come fossero degli oggetti" ("Protezioni artistiche nei bambini e negli adulti", p. 2).
Nella vasta letteratura sull'autismo venuta dopo il lavoro pionieristico di Kanner l'autismo infantile è stato descritto attraverso quei particolari modi di negare il rapporto con il mondo che caratterizzano questa sindrome, i modi sono quelli del distacco, dell'incapsulamento, i modi sono il panico di fronte al mutamento e le stereotipie e ancora, l'assenza di immaginazione, l'incapacità di giocare, la misteriosa inattingibilità, infine, di questo vivere altrove. Ma quali sono le ragioni di questo drammatico isolamento dal mondo della vita? Il lavoro della Tustin è un tentativo di rispondere a questa domanda, ci fornire quindi un'interpretazione, una possibile comprensione dell'autismo infantile.
Comprendere l'autismo da un punto di vista psicoanalitico significa utilizzare un'importante categoria interpretativa dello sviluppo infantile: il processo di separazione del bambino dalla madre. Significa comprendere come questo sia in rapporto con la conquista progressiva del sentimento di esistere, di essere nel mondo, di vivere un'esistenza dotata di continuità: un'esperienza di crescita che è vissuta dal bambino autistico come un tragico fallimento. Alle origini dell'autismo vi è infatti il bisogno umano di proteggersi da un'insopportabile esperienza di separatezza che minaccia la vita stessa. I bambini autistici seguiti in psicoterapia, osserva la Tustin, ad un certo punto del trattamento "rivelano di aver avuto una straziante consapevolezza della propria separatezza corporea dalla madre o da un sostituto materno. Per questi bambini particolari, nel clima emotivo della loro situazione di nursing, si è trattato di un sentimento intollerabile" (p. 32). L'esperienza è stata quella "di aver perduto qualcosa che non sanno che cosa sia. L'esperienza di essere distanti da una madre alla quale sono stati troppo vicini ha lasciato loro un sentimento di mutilazione" (p. 20).
L'incapsulamento autistico è il modo con cui il bambino si protegge da questa mutilazione, da questo vuoto, dall'oscura minaccia del non essere. Vi è nei bambini autistici una sorta di orrore del nulla, dell'oscura minaccia di dissolversi, di straripare, di non essere, è a questo che essi contrappongono la difesa autistica. L'autismo è dunque una difesa, innanzitutto una difesa sensoriale. L'osservazione ci mostra come nella vita di questi bambini compaiano oggetti che la Tustin chiama oggetti sensoriali autistici, oggetti duri che i bambini portano con sé e che vengono utilizzati per le sensazioni di durezza che producono: i bambini "si impadroniscono della durezza dell'oggetto per essere eguagliati ad esso". Concentrandosi su queste sensazioni di durezza autoprodotte, anzi eguagliandosi a questi oggetti duri, riescono ad escludersi dal mondo esterno. Attraverso queste ed altre forme di incapsulamento dominate dalle sensazioni, i bambini autistici lottano disperatamente contro una angoscia senza nome, e vivono così senza radici e senza spazio interno: toccare le superfici di un oggetto conferisce loro una sensazione di piattezza che allontana l'angoscia dello spazio, della separatezza, del dentro e del fuori, quindi di un vuoto in cui si rischia di precipitare e dissolversi. In questa esistenza congelata intorno alla superficie non c'è spazio interno, non c'è un luogo interiore dove accogliere le esperienze per pensare, immaginare, giocare. Dove non c'è spazio non c'è tempo, non c'è memoria delle cose, tutto è immobile per l'impossibilità di accettare la perdita, la distanza, la profondità.
Quale cammino terapeutico occorre allora intraprendere con questi pazienti chiusi in una estrema e inattingibile condizione della mente? In un capitolo intitolato "La crescita della comprensione: la mia esperienza personale" ("Barriere autistiche nei pazienti nevrotici", pp. 28 sgg.), Frances Tustin racconta la sua formazione di psicoterapeuta infantile. Veniamo così a sapere della sua analisi personale con Wilfred Bion e del suo training alla Tavistock di Londra, con Esther Bick e John Bowlby, del lavoro di supervisione fatto con Meltzer e Rosenfeld e dell'importanza del lavoro della Klein e della Mahler, di Winnicott, per la crescita della sua comprensione dell'autismo infantile. L'esperienza psicoterapeutica della Tustin si inscrive in questo orizzonte. L'esperienza terapeutica è innanzitutto un'esperienza di contenimento mentale per far emergere e strutturare quello che manca al bambino autistico: una vita interiore, un luogo mentale in cui gli oggetti possono essere simbolizzati, pensati.
Se l'incapsulamento è la difesa estrema di un bambino che oscilla tra estasi e rabbia, che si sente travolto da sentimenti esplosivi e da paure estreme di dissoluzione, la relazione terapeutica deve essere il luogo dove i sentimenti sono ascoltati e compresi, "strutturati e disciplinati". L'holding mentale del terapeuta, il contenitore stabile che fornisce senso, che pensa (questo tema bioniano così presente nel lavoro della Tustin), è particolarmente importante in una situazione psichica come quella descritta, che punta allo smantellamento dello spazio interno e alla riduzione della vita a una sensorialità bidimensionale tutta di superficie. Il compito del terapeuta è quello di entrare in contatto con questa condizione mentale per metabo1izzarla e modularla, è attraverso questo rapporto fatto di fermezza e dedizione che nasce una vita interiore.
La riduzione sensoriale a cui il bambino autistico si condanna lo porta in altri termini ad appiattirsi, ad annientarsi allontanandosi dall'ordine simbolico del ricordare, del rappresentare, del giocare, negandosi uno spazio introiettivo, una vita interiore appunto. A questo spazio il bambino autistico deve arrivare attraverso un itinerario che passa attraverso la fermezza e l'ascolto del terapeuta che "sopravvive" alla sua distruttività e introduce definizione e significato dove regna la minaccia del non-essere. Il lavoro del terapeuta diviene così una sorta di sfida dell'essere e del senso, contro il terrore del nulla che sembra assediare la mente del bambino.
Frances Tustin cita sovente i poeti per aiutarci a capire la condizione autistica e cita in particolare l'Eliot dei "Quattro quartetti" che sembra parlare proprio, nei suoi versi, della situazione di deprivazione mentale su cui stiamo riflettendo: "Scendi più giù, scendi soltanto / Nel mondo della perpetua solitudine / Mondo non mondo, ma ciò che non è mondo / Buio interiore, privazione / Espoliazione di ogni proprietà / Disseccamento del mondo del senso / Evacuazione del mondo della fantasia / Inattività del mondo dello spirito". Il poeta non è citato solo perché ha veduto la solitudine e il buio interiore e ne ha parlato, è citato perché questo suo "dire" il dolore è come iniziare un cammino di liberazione attraverso la disciplina di una poesia. Anche il bambino autistico deve avere il suo "dire", la sua "situazione estetica". Questa situazione estetica in origine è la mente del terapeuta che lo accompagna con il suo holding disciplinato verso l'immaginazione, il gioco e la parola. Verso il dire che contiene e significa. L'uscita dallo stato autistico coincide allora con l'esperienza della bellezza e l'accettazione del dolore e della finitezza. Nei bambini di cui abbiamo parlato o nei pazienti nevrotici con un nucleo nascosto di autismo, il linguaggio dell'essere nasce nell'elaborazione del lutto per ciò che si è perduto, nasce dall'esperienza della profondità del mondo, nello spazio e nel tempo, perché rinasce il sentire e il simbolizzare.
È importante, mi sembra, per ogni psicoterapeuta comprendere i vissuti estremi della condizione autistica, è come avvicinarsi ai problemi ultimi della vita e della morte, "ne avremo in cambio, dice la Tustin, la possibilità di entrare in contatto con le radici più profonde di noi stessi".

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