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Bambaia e il classicismo lombardo - Giovanni Agosti - copertina
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Descrizione


Al centro del libro è Agostino Busti, detto il Bambaia, un grande scultore capace di lavorare il marmo in modo sorprendente. Intorno a lui che vive tra 1483 ed il 1548, la Lombardia delle arti, percorsa da smanie anticheggianti, da frenesie collezionistiche, come da continue tentazioni neoscolastiche, sempre contraddette da attenzioni realiste. Protagonista e quadro poco noti negli aspetti più vivi e risolutivi, male interpretati alla luce della grande stagione della Milano in cui s’è acceso l’astro di Leonardo. E il libro, mentre ricostruisce opere ed attività dello scultore, con rigore e d agilità precisa la ricchezza e i movimenti del contorno. Il Bamabaia ha uno stile virtuoso e ricco di riferimenti che trova difficoltà ad inserirsi nei panorami più accreditati della storia della cultura italiana del Cinquecento. Ma proprio il suo gusto è ragione di scelte di ammiratori e di modi espositivi da cui è giocoforza partire: il diagramma dei suoi estimatori rivela le vicende di un collezionismo che va dal Cardinal Federico a Giuseppe Bossi, ai grandi nomi della nobiltà milanese; dall’Accademia di Brera al Museo del Castello Sforzesco. Di qui lo studio di Agosti passa all’ambiente tra regime degli Sforza e dominio dei francesi, con la passione dominante per l’antico che anima gli artisti: l’attenzione è rivolta in particolare ai viaggi a Roma, e ai paralleli tra espressioni figurative e scelte letterarie del tempo. In quella grande officina, di idee di opere di mestiere, che è la cerchia dei giovani intorno a Leonardo, ecco il Busti, che proprio Leonardo chiama Bambaia; poi la grande occasione della sua vita d’artista, la commissione del monumento a Gaston de Foix, morto a Ravenna nel 1512. Il crollo dei francesi non consente di innalzare un monumento al loro grande condottiero.

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Dettagli

1990
1 gennaio 1997
XIX-229 p., ill.
9788806117788

Voce della critica


recensione di Romano, G., L'Indice 1991, n. 4

L'improvvisa fortuna critica del Bambaja, dopo decenni di silenzio, ha prodotto di recente il catalogo dei frammenti della tomba di Gastone di Foix già nella villa Arconati a Castellazzo, acquistati dai Musei del Castello di Milano a seguito della poco felice dispersione di quella collezione storica di sculture (Finarte-Longanesi), la svelta monografia di Maria Teresa Fiorio (Cantini) e finalmente questo felice exploit critico di un giovanissimo di scuola pisana.
Il libro si compone di cinque ampi capitoli, fittamente annotati. L'indice chiarisce la scelta di condurre la ricerca per temi cruciali, rinunciando al tradizionale profilo monografico dello scultore protagonista: cap. I, "Interpretazioni passate del Bambaja"; cap. II, "Il gusto per l'antico a Milano, tra regime sforzesco e dominazione francese"; cap. III, "Bambaja, tra gli amici di Leonardo", cap. IV, "Il monumento a Gaston de Foix"; cap. V, "Bambaja al Duomo di Milano". Sono capitoli compatti, con pochi rimandi reciproci, a prevalente connotazione sincronica (salvo il primo, ovviamente), che costituiranno d'ora innanzi lo zoccolo duro di qualsiasi ricerca su Bambaja, sulla scultura lombarda e su quant'altro in Lombardia al passaggio dal Quattrocento al Cinquecento.
La prima impressione positiva è legata alla seducente facilità di scrittura con cui Giovanni Agosti dissimula la fatica affrontata per ricondurre a un discorso unitario la sterminata e frammentaria bibliografia sull'argomento; e non si tratta solo della bibliografia sul Bambaja, dispersa nei mille rivoli della pubblicistica milanese del secolo scorso. L'ambizione di conservare sempre attivo il rimando tra lo scultore e il quadro locale di riferimento ha moltiplicato le linee di esplorazione e pertanto di verifica bibliografica: sui colleghi del Bambaja stesso, sui pittori a lui contemporanei, sui profili biografici dei committenti, sugli itinerari extramilanesi di vari comprimari, in particolare sui viaggi romani. La scrittura, pur sensibile alla voga corrente della "narrazione" storica, evita il romanzesco gratuito, mentre un'autentica sensibilità storica si rivela nell'agile trapasso dalle contingenze e dai condizionamenti storici ai caratteri propri dello stile del Bambaja; quel suo classicismo d'invenzione, nevrotico e trasognato, che ha reso sempre più difficile l'approccio dei critici, per lo più perplessa sulla sua effettiva statura.
Alla fortuna critica del Bambaja è dedicato il primo capitolo, accortamente condotto tra fortuna 'per scripta' e fortuna 'per anta', dal momento che di fronte alle difficoltà dei critici la sopravvivenza dello scultore fu consentita da gesti di salvataggio appena tempestivi, magari suggeriti piuttosto dalla fama di Gastone di Foix che da quella dello scultore. Dal Vasari al Lomazzo, e poi nelle case e nelle ville dei collezionisti lombardi del Seicento e del Settecento, il Bambaja sopravvive per frammenti, considerati un 'must' di ogni raccolta nobiliare; col XIX secolo i rilievi del Bambaja diventeranno un'ambizione diffusa tra i musei europei e, dopo tante dispersioni, neppure gli sforzi degli storici positivisti potranno più ricostruire una realtà mai giunta a compimento, come lo sfortunato monumento a Gastone di Foix.
Il secondo capitolo è senza dubbio il più ricco e il più affascinante di tutto il volume dell'Agosti, ovviamente confortato dalle esperienze di ricerca dei precedenti sulla fortuna dell'antico; occorre anche dire che il contenuto ne è quasi del tutto nuovo per la storia dell'arte lombarda, normalmente considerata sotto altri profili culturali (realismo, coltivazione degli ori, ecc.). Tra le figure primarie trionfano Cesariano e l'Alciati, ma particolarmente sottili sono le osservazioni sul misterioso poemetto "Antiquarie prospettiche romane", che trova nelle pagine dell'Agosti una nuova e persuasiva datazione fra il 1496 e il 1498; poco convincente mi pare invece il tentativo dl attribuire quei versi allo Zenale. Il modello di queste pagine sono certe vecchie recensioni di Longhi al Malaguzzi Valeri, e non si tratta di un modello comodo, come dimostra il trasparire anche di riferimenti meno supremi (Testori e il miglior Arbasino di Lombardia). Il plurilinguismo lombardo e i toni polifileschi del Cesariano sembrano aver affascinato l'Agosti, che ne approfitta con intelligenza.
Sulla testimonianza del Cesariano e in base a una misteriosa nota di Leonardo anche Bambaja viene aggregato ai milanesi in viaggio per Roma, al fianco di Leonardo stesso, e se ne precisa, col terzo capitolo, l'atteggiamento ambivalente tra fascinazione dell'antico e "maniera moderna". Bambaja si rivela il più coraggioso esploratore delle vie aperte da Leonardo nel campo della scultura, non solo con gli sfortunati monumenti a Francesco Sforza e a Gian Giacomo Trivulzio. Tutto il capitolo è impegnato nella revisione del fenomeno del leonardismo a Milano, dei suoi protagonisti e dei diversi momenti stilistici, in parallelo al recedere della tradizione più propriamente lombarda e all'arrivo a Milano dei portabandiera del gusto "cortigiano": da un lato Bambaja subentra gradualmente nell'area occupata dall'Amedeo e dai suoi accoliti, mentre su un altro fronte è tenuto a confrontarsi con la traccia lasciata in Lombardia da Gian Cristoforo Romano e con l'avvicinamento alla maniera moderna di Benedetto Briosco. Non è stato un capitolo agevole da modellare, sia per il ritardo delle conoscenze sulla scultura lombarda e per l'assenza di studi comparativi con la scultura nel resto d'Italia sia per il confuso moltiplicarsi recente degli studi sul leonardismo nella pittura milanese, senza scrupoli sulla qualità, sulle cronologie parallele e sulla corretta distinzione di mani. Un bell'esempio di accertamento filologico da parte dell'Agosti è la restituzione alla sua data precoce e al contesto culturale pertinente della pace di Pio IV nel tesoro del Duomo di Milano.
In diretto collegamento segue il capitolo sulla tomba di Gastone di Foix, gigantesca impresa non portata a termine per il crollo delle fortune francesi in Italia, ma ugualmente solido punto di aggancio per ogni indagine critica sul Bambaja e per ogni tentativo di ricostruirne una plausibile figura storica. Agosti intreccia accortamente le sue deduzioni storiche con le ultime vicende biografiche dell'eroe francese, con le fonti letterarie e i pochi documenti noti, ma nonostante ogni sforzo analitico, in particolare sul bellissimo disegno di Londra, l'immagine d'insieme del monumento sfugge per ora alle possibilità della nostra esperienza. Non è da escludere che solo un rilievo grafico condotto sul retro di tutti i rilievi sopravvissuti possa condurci a una ricostruzione plausibile, ma Agosti non si avventura su questa via, per lui eccessivamente positivista. Insiste piuttosto sui rapporti tra la cultura francese e quella italiana intorno alla tomba di Gastone di Foix, un tema di grande interesse e dove non è detto che siano stati solo i francesi a ricevere dall'Italia.
La monografia si conclude con un lungo e documentatissimo capitolo sui rapporti tra Bambaja e l'opera del Duomo di Milano, che in verità si rivela una concisa monografia sul Duomo stesso, negli anni a cavallo del 1500, come palestra di formazione di intere generazioni di scultori, a vari livelli di qualità: non per nulla si suggerirà persino a Michelangelo di ricorrere a quel vivaio. La quantità imponente del materiale preso in considerazione ha finito per costringere Agosti a un'operazione di annalista, che andrà quanto prima integrata da riflessioni critiche un poco più distese. Per ora il lettore si muove meglio tra le note che nel popolatissimo andirivieni del testo vero e proprio. In particolare nelle note si verificano numerose bonifiche documentarie in preparazione di quel repertorio filologico delle statue del Duomo di Milano che Agosti giustamente considera una condizione necessaria per la corretta ripresa degli studi sulla scultura lombarda del Quattro e del Cinquecento. Volume meritorio, dunque: è tuttavia auspicabile che, nella prossima edizione, spariscano alcuni incidenti tecnici che rendono in più di un caso svianti le didascalie delle tavole fuori testo.

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Conosci l'autore

Giovanni Agosti

1961, Milano

Giovanni Agosti è professore ordinario di Storia dell’arte moderna all’Università degli Studi di Milano. Tra i massimi esperti di arte lombarda rinascimentale, intende la ricerca come continua contaminazione tra discipline e ambiti diversi. Fondamentali i suoi lavori su Mantegna (risolti in una grandiosa mostra al Louvre), Luini, Gaudenzio Ferrari, così come quelli su Testori o sul teatro contemporaneo. Tra i suoi libri ricordiamo Le rovine di Milano (Feltrinelli, 2011), I mesi del Bramantino (Officina Libraria, 2012, con Jacopo Stoppa), San Maurizio al Monastero Maggiore (Officina Libraria, 2016, con Jacopo Stoppa e Chiara Battezzati), La Ca' Granda da ospedale a università. Atlante storico-artistico (Officina Libraria, 2017, con Jacopo Stoppa).Fonte...

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