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Anno edizione: 2014
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Ho ripreso dopo 5 mesi La ballata di Iza che avevo abbandonato, perché lo avevo trovato infinitamente triste.Peró ero sotto le 80 pagine e l'esperienza mi insegna che al 80% dopo le prime 100 pagine i libri cambiano.Infatti. Per caritá il tratto triste permane su tutte le righe ( non pagine, righe) a mio parere, ma poi si entra nel vivo del racconto e la scrittura ben articolata si fa leggere con gusto e aviditá. Un libro che fa veramente riflettere sulla "generale incapacitá umana di capirsi e sulla difficoltá della comunicazione." Veramente un bel romazo. Leggero altro della Szabó.
Magda Szabò anche in questo romanzo ci svela le pieghe più recondite dell'animo dei suoi personaggi tanto da renderli creature vive, vere, palpitanti . I personaggi sono tanti, ma ruotano tutti intorno ad una madre e a sua figlia Iza. L'amore che le unisce però non riesce a superare la barriera generazionale e l'individualismo che in Iza si trasforma in vero egoismo.Ho provato simpatia per la madre, una donna di 66anni , chiamata nella narrazione "la vecchia" come a voler sottolineare un mondo di sentimenti antiquato ( l'attaccamento alla propria terra, al passato, ai ricordi) e superato da ciò che è giovane, efficiente ed utile, incarnato dalla figlia Iza che, apertamente ostile a tutto ciò che richiama il passato, vorrebbe rappresentare la modernità. E' proprio il carattere freddo ed aspro di Iza a causare prima l'allontanamento del marito e poi il lento declino della madre.E'un ottimo medico Iza, sa curare i suoi malati, ma non conosce la "cura" di cui ha bisogno la madre.Si può credere di amare chi ci è caro, ma si può ugualmente non comprenderli.Un romanzo che fa riflettere sia sulla complessità del rapporto umano ( soprattutto quando non si riesce ad immedesimarsi nell'"altro") sia sul lutto, la perdita e l'incapacità di elaborarli.
E' un romanzo molto lento, soprattutto l'inizio, poi cattura completamente. Consigliatissimo.
Recensioni
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Ha ormai novant'anni, Magda Szabó, e ancora qualcuno riesce a confonderla con Sza Sza Gabor. Forse l'aspetto, forse semplicemente la sonorità del nome, la fanno sprofondare in un tempo arcano, segreto. In verità la più che premiata Szabó ha all'attivo più di dieci romanzi pubblicati, testi teatrali e racconti per bambini. In Francia è successo nel 2005, adesso è la volta dell'Italia: la scrittrice ungherese gode di una insperata primavera e entra nei primi posti delle classifiche librarie. I processi editoriali vanno comunque a rilento e, ancora, non si annunciano nuove traduzioni in italiano, nonostante l'attività promozionale del suo editore francese, Vivien Hamy.
Scritto nel 1963, questo La ballata di Iza è uscito, in Italia, nella traduzione di Bruno Ventavoli, alla fine del 2006. Gli anni che intercorrono tra la data di pubblicazione originale e l'approdo italiano non sono indifferenti. Soprattutto perché il romanzo si ambienta in una Budapest da poco uscita dalla monocultura staliniana, una città in ripresa come una macchina rioliata che ben poco ha a che fare con la metropoli attuale, dai prezzi altissimi e dal turismo inferocito. La distanza tra quella Budapest e il villaggio da cui proviene la vecchia protagonista Etelka non sembra inconciliabile come, certamente, ci apparirebbe oggi. Il fascino di questo romanzo sta forse tutto qui: nella sottile linea di confine che separa la vita cittadina da quella di un borgo rurale. Un linea di confine che il regime sovietico aveva cancellato, ma che il processo capitalistico ricompone.
La figlia di Etelka, la Iza del titolo, è il prototipo della generazione nuova. Medico in un grande ospedale, Iza ha dimenticato (con che difficoltà la giovane donna ricorda episodi dell'infanzia, odori, luoghi) perché intende rifondarsi secondo un modello tutto ancora da sperimentare. La madre, dopo la morte del padre, Vince, magistrato/contadino, oscurato dal regime, messo a tacere per le sue posizioni critiche, vuole, al contrario, vivere nel ricordo. Ma Iza ha piani diversi: la vuole con sé, nel suo appartamento moderno, arredato come mille altri, con la lavatrice, il frigorifero e i termosifoni, immerso nel silenzio. Le lenzuola di cotone e gli abiti caldi, il cibo non grasso ma nutriente, finiranno per "addormentare" la povera Etelka, che aspirerebbe soltanto a farsi un caffè alla turca con un fornelletto a gas da campeggio. Un'immensa voragine d'incomprensione allontana la figlia dalla madre e viceversa. L'una le offre confort materiali, semplificazioni esistenziali, mentre l'altra cerca carezze, presenza viva. L'una segue itinerari solitari, alla ricerca ansiosa di isolamento; l'altra vorrebbe confidenze, intimità, reciproche confessioni.
Szabó è maestra nel vivisezionare le infinite possibilità della molestia fatta a "fin di bene" che madre e figlia vicendevolmente declinano. Un caso per tutti: Etelka si accorge che il tempo potrà cambiare e sa che Iza non ha preso l'ombrello, uscendo, la mattina. Decide, lei che non conosce una strada, e non sa come fare a prendere un autobus, di raggiungerla all'uscita dall'ospedale munita del fondamentale ombrello. Ma lì, scorata, si rende conto che la figlia "quando il tempo è brutto chiama un taxi e va a casa". Di lei dunque non ha alcun bisogno, non ha più alcun bisogno. La vecchia, in epilogo, grazie a uno slancio orgoglioso, decide di tornare al suo villaggio per la posa della lapide sulla tomba del marito. In una notte di nebbia si smarrirà in un cantiere uno smarrimento raccontato come fosse un rituale di morte e finirà naturalmente per cadere da un ponteggio. Solo in chiusura, dopo aver ultimate tutte le pratiche per la sepoltura di Etelka, Iza lancerà un grido straziato alla vana ricerca di un ricomponimento familiare.
Anche in La ballata di Iza, la scrittrice affonda dentro il tema a lei più caro: il rapporto tra due donne, che è poi quello che ritroviamo nel precedente romanzo, La porta, e in quello pubblicato da Feltrinelli alla metà degli anni settanta, La seconda Ester. Scritto con nitidezza e meticolosa attenzione al regno delle cose la felicità della traduzione in italiano è la vera cartina di tornasole , il romanzo sorprende per essere costruito secondo modelli e ascendenze tutte europee che volutamente si allontano da tanta letteratura postsocialista. L'orizzonte politico è solo uno sfondo sulla scena, a differenza di autrici contemporanee provenienti da aree a influenza russa (penso a Dubravka Ugreić o a Somona Popescu) che hanno invece, su quella memoria specifica, costruito un modo di pensare e fare letteratura assai peculiare. La nostalgia qui funziona insomma come uno stratagemma un po' artificioso, manipolato come una forma d'esotismo al contrario; ben altra potenza espressiva e sentimentale è rintracciabile in esperienze, di scrittura e di vita, meno note al pubblico.
Camilla Valletti
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