Avventure di Robin Hood

Presentato un po' pretenziosamente come (corsivo mio) "il vero romanzo di Robin Hood, il testo che ha ispirato Ridley Scott" nel suo recente fumettone per grande schermo, quello dell'americano McSpadden è in effetti un testo che si può leggere con piacere. Ovviamente si tratta soltanto di uno tra i vari, fortunati romanzi partoriti sul tema in rapida successione a cavallo dell'Atlantico (Gran Bretagna e USA) e insieme dei due secoli, e destinati a un pubblico molto giovane: per gli adulti il personaggio-Robin era a quel punto considerato meno appetibile sul piano letterario, e degno piuttosto di spettacoli e opere musicali. Il prolificissimo Joseph Walker McSpadden dedicò al soggetto varie riscritture fin dal 1891; e questa prima traduzione italiana segue l'edizione del 1904, nella cui Introduzione a firma dell'autore si afferma il rispetto per "le vecchie ballate (…) nello spirito e nelle situazioni principali (…) i fatti sono narrati in modo più completo di quanto non potesse fare l'originale forma in rima, ma sono sempre in linea con ciò che i versi suggeriscono. Se qualcosa del fascino dei canti originali, del loro umorismo spumeggiante, della loro semplice spensieratezza, del ritmo e della flagranza sono fluite in queste righe di prosa", l'autore afferma di aver raggiunto il suo scopo. In realtà il Robin Hood delle ballate, almeno le più arcaiche, è una figura decisamente più allarmante e imprevedibile, al confine tra lo sfuggente personaggio storico (o la somma di diversi nel tempo), uno stereotipico robinhood "bandito sociale" alla Hobsbawm – suggestiva in questo senso la postfazione del curatore Armati, Chi era Robin Hood? Scene di sesso e lotta di classe nella Foresta di Sherwood – e un trickster imparentato con l'Uomo Verde del folklore inglese, spirito della Natura che si rinnova, in coppia con la maschera femminile Maid Marian nelle feste di primavera. Acquisito ciò, godiamoci il candore di un'avventura romantica, il suo brio e il vago retrogusto malinconico. Franco Pezzini