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Recensioni Autobiografie

Autobiografie di William Butler Yeats
Recensioni: 5/5
Visione e realtà, saga e storia, vicende politiche e avventure letterarie e artistiche: per squarci successivi, e mantenendosi sempre sullo stesso piano, come se per Yeats fosse innaturale distinguere i meandri dell’immaginazione da quelli degli eventi, ci appaiono gli episodi di queste «Autobiografie». Il racconto prende l’avvio dalla scabra e sanguigna Irlanda nativa per passare poi a un’opaca Londra vittoriana, fino alla Svezia che accolse Yeats nel 1923 per conferirgli il Premio Nobel. Procedendo per brevi capitoli, con un piglio inimitabile che alterna l’aneddoto alla digressione lirica o magica o mistica, un cronista-poeta ci fa conoscere terre sperdute in cui «faeries» e veggenti sono di casa, ci racconta l’apprendistato di un grande scrittore e compone, attraverso i piccoli frammenti di un’esperienza diretta che talvolta fu consuetudine quotidiana, i ritratti dello scandaloso Oscar Wilde, di Madame Blavatsky, del patetico Aubrey Beardsley, di G.B. Shaw, di Lady Gregory, di John M. Synge, di Douglas Hyde, il filologo e storico del mondo gaelico che fu il primo presidente dell’Irlanda indipendente; e di innumerevoli altri, grandi e piccoli, tragici o comici, personaggi. E tutto questo con una straordinaria immediatezza, con un apparente disprezzo della consequenzialità che sulle prime può sconcertare ma ha una ragione: «Per mantenere naturali queste note, e utili a me stesso, devo impedire che l’una si ricolleghi all’altra, per non arrendermi alla letteratura. Ogni nota deve venire come un pensiero casuale, allora sarà la mia vita. Né il Cristo né il Buddha né Socrate scrissero un libro, perché scriverlo equivale a scambiare la vita per un processo logico». Da questo il plurale del titolo. Da questo la sensazione di un succedersi di accensioni, sullo sfondo di una tenebra protettiva. «Autobiografie» è apparso per la prima volta nel 1926. )
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