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Atlante storico del popolo ebraico - copertina
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Dettagli

1995
312 p., ill.
9788808098641

Voce della critica


recensione di Filoramo, G., L'Indice 1996, n. 2

Anche se la storia degli ebrei occupa uno spazio relativamente piccolo sul grande scenario della storia universale, si tratta di una storia che travalica ampiamente i confini delle vicende dello stesso popolo ebraico: e questo, come ricorda il titolo originale, "Histoire universelle des Juifs", proprio per quella dimensione universale che, nel secolo scorso, scoprì la "scienza del giudaismo" con storici come H. Graetz. Di fronte all'enigma dell'identità ebraica (che la stessa traduzione italiana di Juifs con "popolo ebraico" contribuisce ad alimentare: una nota in merito ai problemi interpretativi soggiacenti a questa scelta non sarebbe stata fuor di luogo), la storia si rivela, se non l'unica, certo una via di accesso privilegiata: essere un ebreo (o un giudeo), oltre che aderire a un credo particolare e seguire una Legge rivelata, è anche (o soprattutto?) riconoscere un legame con un passato determinato, inserirsi e riconoscersi nella particolare lunghezza d'onda di una memoria culturale collettivamente partecipata e trasmessa.
Anche se nel team compare qualche collaboratore straniero, non è un caso che questo atlante sia stato concepito e realizzato in sostanza da un gruppo di ricercatori israeliani: l'eccellente risultato è una testimonianza significativa dell'alto livello che la ricerca storica, condotta in genere secondo i più rigorosi criteri scientifici, ha raggiunto in questo paese. L'osservazione è lungi dall'essere scontata: come ricorda il curatore nella prefazione, "la guerra dei Sei Giorni è più carica di passione che Waterloo"; e questo anche perché, come confermano i recenti tragici avvenimenti, ciò che accade oggi, e le risposte che ne conseguono, sono profondamente influenzati dalle esperienze del passato e dai segni che esso ha lasciato sulla psiche collettiva del popolo.
Si può discutere, naturalmente, sull'utilità di studiare e di conoscere il proprio passato per rispondere in modo più adeguato ai drammatici interrogativi del presente; quel che preme sottolineare, però, è che il ritorno d'interesse per la conoscenza critica del proprio passato non è, nel caso in questione, una, per così dire, curiosità "naturale", ma un'esigenza vitale. Il curatore ha ben presente i rischi impliciti in questa situazione, e che in altre consimili occasioni hanno portato a un uso apologetico o teleologico della storia, quasi che la storia del popolo ebraico debba trovare provvidenzialisticamente il suo punto d'arrivo nella costituzione dello Stato d'Israele: uno scoglio, in questo atlante, brillantemente evitato.
Storia di un popolo, dunque, e non di una fede: dove, di conseguenza, far iniziare questa storia? Qui, per gli attuali canoni critici, il curatore è stato forse troppo prudente: i primi capitoli propongono una lettura tradizionale, che riconosce la verità "storica" della migrazione di Abramo. Se prescindiamo da questi inizi, in cui è così difficile tracciare - ammesso che sia possibile - una chiara linea di confine tra mito o leggenda e storia, in genere la presentazione dell'atlante procede in modo impeccabile, grazie anche a un'ottima impostazione metodologica. Ogni capitoletto, infatti, affidato a uno specialista, accanto a un testo di sintesi in genere efficace e chiaro, presenta, sul fondo della pagina, una tavola cronologica degli avvenimenti principali, accompagnata da un'iconografia di supporto che rivela un'attenta ricerca iconografica e, soprattutto, da preziosissime carte storiche di grande utilità interpretativa e didattica, che costituiscono uno dei maggiori pregi del volume, rendendolo, a differenza di altri consimili strumenti, un atlante storico degno di questo nome.
Dei molti meriti di questo prezioso strumento, uno merita in particolare di essere sottolineato: la possibilità, che esso offre, di ricuperare, per il Diogene che la ricerchi, l'identità ebraica attraverso la sua impressionante varietà storica. La storia, si sa, relativizza, frantuma, disperde; questo vale per i popoli come per le religioni, dunque, a maggior ragione, per un popolo, come l'ebraico, i cui destini rimangono comunque indissolubilmente legati a quelli della religione. Man mano che ci si immerge nel testo, cresce l'impressione che abbiano ragione quegli ebrei che ritengono che l'esistenza di un "ebreo" come tipo universale sia un postulato puramente ideologico, e che, in realtà, esista soltanto l'interpretazione infinita che le differenti società hanno dato di alcuni simboli fondamentali, sorta di fonemi produttori dei vari linguaggi, delle varie culture e società ebraiche. Eppure, alla fine, l'impressione è che un filo rosso, un'aria di famiglia, colleghi le differenti foto di gruppo, le cerimonie così diverse, i credi e le interpretazioni così divergenti che la storia del popolo ebraico ha saputo produrre nelle sue millenarie vicende di disseminazione nelle più diverse culture: svelare, dietro la variegata trama degli avvenimenti, questo ordito, non è certo l'ultimo merito dell'atlante.

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