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Non si dovrebbe mai confondere l'improbabile con l'impossibile. Tale era ancora lo squilibrio della finanza pubblica rispetto ai requisiti fissati dal Trattato di Maastricht che l'ammissione dell'Italia alla moneta unica pareva ai più massimamente improbabile ancora a metà del 1996. Come poté avvenire che l'Italia entrasse nell'Euro? Chiamando gli italiani a versare lacrime e sangue per raggiungere in un solo balzo l'ambita meta? O con qualche furbo espediente, con una sorta di gioco delle tre carte, come alcuno pare ancora ritenere?Al di là delle apparenze, il primo passo non costò molto. Se accanto al 1997, l'anno della mobilitazione, si considera anche il 1998, l'anno della vittoria, ci si accorge che, tutto sommato, poco sangue e poche lagrime furono versati. Ciò poté avvenire perché l'aggiustamento dello squilibrio principale dell'economia italiana, quello della finanza pubblica, era in larga parte avvenuto prima. Dopo un percorso che durava dal 1990-91, il figliol prodigo era già tornato alla soglia della casa europea; non riusciva a varcarla, perché né i mercati né i governi credevano al suo pentimento. Le mosse che consentirono l'ammissione all'Unione monetaria in tanto poterono essere efficaci, in quanto una base solida già esisteva; l'ammissione, a sua volta, offrì quel certificato di credibilità che prima veniva negato e che ha consentito, consente e consentirà ancora di riscuotere un lauto dividendo di riduzione spontanea del disavanzo, grazie alla contrazione della spesa per interessi. Ci si deve chiedere tuttavia se i risultati ottenuti siano durevoli. Occorre verificare le tendenze di alcune voci di spesa. In una situazione di rapido invecchiamento della popolazione e di attuazione solo graduale delle riforme già introdotte, la questione principale riguarda la spesa previdenziale. Le previsioni ufficiali non paiono particolarmente preoccupanti per le sorti del disavanzo. Ma anzitutto, quelle previsioni sono assai sensibili a variazioni anche lievi. In secondo luogo, gli effetti dell'invecchiamento riguarderanno non solo la spesa previdenziale, ma anche quella sanitaria. Infine, ma non da ultimo, occorre lasciar spazio per una riduzione della pressione tributaria, desiderabile in sé e comunque necessaria per far fronte alla concorrenza fra sistemi nel mercato unico europeo. Un ulteriore (e definitivo) intervento di riforma per correggere la tendenza della spesa previdenziale pare dunque al tempo stesso necessario e auspicabile. Ancora una volta, la soluzione di alcuni problemi strutturali sembra indispensabile per rendere più solida la crescita futura.
Non si dovrebbe mai confondere l'improbabile con l'impossibile. Tale era ancora lo squilibrio della finanza pubblica rispetto ai requisiti fissati dal Trattato di Maastricht che l'ammissione dell'Italia alla moneta unica pareva ai più massimamente improbabile ancora a metà del 1996. Come poté avvenire che l'Italia entrasse nell'Euro? Chiamando gli italiani a versare lacrime e sangue per raggiungere in un solo balzo l'ambita meta? O con qualche furbo espediente, con una sorta di gioco delle tre carte, come alcuno pare ancora ritenere?
Al di là delle apparenze, il primo passo non costò molto. Se accanto al 1997, l'anno della mobilitazione, si considera anche il 1998, l'anno della vittoria, ci si accorge che, tutto sommato, poco sangue e poche lagrime furono versati. Ciò poté avvenire perché l'aggiustamento dello squilibrio principale dell'economia italiana, quello della finanza pubblica, era in larga parte avvenuto prima. Dopo un percorso che durava dal 1990-91, il figliol prodigo era già tornato alla soglia della casa europea; non riusciva a varcarla, perché né i mercati né i governi credevano al suo pentimento. Le mosse che consentirono l'ammissione all'Unione monetaria in tanto poterono essere efficaci, in quanto una base solida già esisteva; l'ammissione, a sua volta, offrì quel certificato di credibilità che prima veniva negato e che ha consentito, consente e consentirà ancora di riscuotere un lauto dividendo di riduzione spontanea del disavanzo, grazie alla contrazione della spesa per interessi. Ci si deve chiedere tuttavia se i risultati ottenuti siano durevoli. Occorre verificare le tendenze di alcune voci di spesa. In una situazione di rapido invecchiamento della popolazione e di attuazione solo graduale delle riforme già introdotte, la questione principale riguarda la spesa previdenziale. Le previsioni ufficiali non paiono particolarmente preoccupanti per le sorti del disavanzo. Ma anzitutto, quelle previsioni sono assai sensibili a variazioni anche lievi. In secondo luogo, gli effetti dell'invecchiamento riguarderanno non solo la spesa previdenziale, ma anche quella sanitaria. Infine, ma non da ultimo, occorre lasciar spazio per una riduzione della pressione tributaria, desiderabile in sé e comunque necessaria per far fronte alla concorrenza fra sistemi nel mercato unico europeo. Un ulteriore (e definitivo) intervento di riforma per correggere la tendenza della spesa previdenziale pare dunque al tempo stesso necessario e auspicabile. Ancora una volta, la soluzione di alcuni problemi strutturali sembra indispensabile per rendere più solida la crescita futura.
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