Aspettando la neve all'Avana

Un amore incondizionato e carico di nostalgia per quella Cuba dalla quale, all’età di dieci anni è stato costretto ad emigrare come profugo, ha spinto l’autore a narrare della sua spensierata fanciullezza all’Avana. Ricordi che scorrono pagina dopo pagina senza una sequenza temporale precisa e proprio questo, paradossalmente, rende la narrazione piacevole, fluida e vivace. Vivace come il carattere di Carlos e dei suoi inseparabili amici che si divertono come tutti i bimbi del mondo. Bambini indubbiamente privilegiati visto lo stato sociale delle loro famiglie, bambini fortunati non costretti a tuffarsi, come alcuni loro coetanei molto più sfortunati, nelle acque sporche e oleose del porto per raccogliere qualche moneta che viene loro gettata. Non illudetevi, non è che, sconfitto il regime Batista, le cose miglioreranno per il popolo cubano che si ritroverà all’improvviso oppresso dalla dittatura castrista che abolirà la proprietà privata, l’economia di mercato e soprattutto la libertà di pensiero, di parola e di movimento mettendo in pratica, come nelle più malvagie dittature di sinistra, la bieca filosofia Marxista-Lenilista. Un libro che mette in luce gli orrori di una dittatura che tuttora perdura, un libro che fa crollare un mito, quello del “Chè”, un libro carico d’amore struggente per la propria terra, un libro tenero, un libro intenso, un libro commovente, un libro spensierato e divertente, un libro con capacità descrittive impressionanti che con poche parole, senza tante perifrasi ti fa vivere spericolate, spassose commoventi avventure insieme al piccolo Carlos, un libro che ti entra nel cuore e ci rimarrà per lungo tempo.