Anversa

Sono due i grandi romanzi di Bolano, nessuno dei due si apre, nessuno dei due si chiude, il caos può scegliere altre espressioni, qui il caos ha voluto assomigliare un po’ di più a sé stesso, ma non chissà quanto. Formalmente può sembrare caotico ‘Anversa’ ma finché le parole avranno un soggetto, un verbo e qualche complemento azzeccato, non venitemi a parlare di anarchia. Sono prove tecniche per articolare un urlo.

Chi vuole scrivere deve osare, chi osa sfida l’incomprensibilità, per me il Cileno Tildato è sempre stato così che avrebbe voluto scrivere: una libertà formale prossima all’anarchia formale ma che non è anarchia, è un ordine tutto da inventare al di sotto delle cose, è non giocare a fare dio, tra l’altro neanche dio gioca a fare dio, guardati attorno: come ti sembra che giochi, dio?

Questo è il primo romanzo scritto dal Bolaño, anche se è l’ultima sua opera pubblicata in vita. La struttura del libro è molto particolare, traspare molto il fatto che Bolaño si sia sempre considerato un poeta piuttosto che uno scrittore di prosa. Il libro è scritto quindi come una successione di brevi o brevissimi pensieri che rendono la storia molto frammentaria e non sempre facile da seguire, questo perché la storia vera e propria viene diluita ed inframezzata con pensieri e riflessioni che poco hanno a che fare con la storia e vera e propria. Il risultato è comunque di gradevolissima lettura (considerate che Bolaño è sicuramente tra i più grande scrittore della seconda metà del secolo scorso) anche se secondo me questo non è una delle migliori prove di Bolaño.