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recensione di Bellagamba, A., L'Indice 1995, n. 4
In questo libro Mondher Kilani mette in luce le controversie e i dibattiti che hanno animato la storia dell'antropologia - per tradizione disciplina che si occupa del diverso e dell'esotico. Ne emerge un quadro articolato dei molteplici e differenti orizzonti teorici che la caratterizzano: quella che a un primo sguardo può apparire come un'eccessiva frammentazione è invece, nell'interpretazione dell'autore, la caratteristica peculiare che rende il sapere antropologico un progetto aperto e flessibile.
In particolare, Kilani dimostra come l'antropologia affondi le sue radici in altre antropologie, intendendo con questo termine il modo in cui società e culture diverse si interrogano, a partire da una serie di presupposti riguardanti la natura dell'uomo considerati fondamentali, costruendo immagini e rappresentazioni del diverso, dello straniero e di mondi lontani. In via quasi paradossale gli strumenti da essa prodotti per studiare gli universi concettuali degli altri possono essere applicati alla comunità degli stessi antropologi, mettendo in luce la natura culturale, e contestuale, del loro sapere.
Nella prima parte l'autore affronta quello che può essere definito il nocciolo duro dell'antropologia: i metodi attraverso cui viene pensata, descritta ed esperita l'alterità culturale. Le nozioni di differenza culturale e di relativismo, di spaesamento e di decentramento vengono passate in rassegna per delineare il modo in cui l'antropologo costruisce il proprio oggetto di studi. Dopo aver cercato di definire l'antropologia dall'interno, l'autore sposta la sua attenzione sul contesto in cui essa si iscrive esplorando le connessioni fra questa e altre discipline che si interessano all'uomo e al suo vivere in società Infine delinea ¡ tratti di una storia della disciplina. Due sono le questioni in discussione: vi è innanzitutto il nascere dell'antropologia, quale oggi la conosciamo, verso la seconda metà del secolo scorso. E vi è, in una prospettiva più ampia, una ricostruzione delle visioni dell'alterità e della differenza elaborate nel corso dei secoli, a partire dall'antichità classica. Da segnalare in questa sezione è lo spazio dedicato dall'autore agli sviluppi della geografia araba fra il IX e l'XI secolo.
L'ultima parte del testo è la più originale. Qui Kilani risponde a uno degli interrogativi fondamentali che animano il dibattito antropologico contemporaneo: in quale misura questa disciplina può continuare a occuparsi dell'esotico e del diverso quando le società da essa tradizionalmente studiate sono ormai quasi del tutto scomparse? Esistono forse ancora angoli di mondo che possano essere considerati isolati dal fluire dei processi storici che caratterizzano la situazione contemporanea? Nell'interpretazione dell'autore l'antropologia non deve ridursi a un sapere antiquario, rinchiuso nella ricostruzione di culture scomparse o in via di sparizione. Dimostrando le capacità di attraversamento culturale elaborate nel corso della sua storia e mantenendo vivo il proprio interesse per il presente delle società e delle culture incontrate, dovrà piuttosto impegnarsi a svelare i molteplici livelli d'interazione fra dinamiche locali e globali, reintegrando le società ristrette e i piccoli gruppi nel contesto più ampio cui essi appartengono. E, soprattutto, l'antropologia deve ritornare a casa. Posando il proprio sguardo su quelle stesse società che le hanno dato origine, indagandone i settori più avanzati, essa può portare un originale contributo all'interpretazione dei cambiamenti e dei conflitti che caratterizzano le società definite moderne. Se alcune forme di alterità vanno scomparendo, altre infatti appaiono "finora sconosciute e di altra natura".
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