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In questo breve saggio, che riprende il testo di tre conferenze tenute nel 2003 al Collège de France su iniziativa della Fondazione per la memoria della Shoah, Philippe Burrin analizza la centralità dell'antisemitismo nella politica di persecuzione nazista. In particolare, Burrin spiega il radicalismo dell'antisemitismo nazista con il ruolo centrale svolto dall'immagine dell'"ebreo" nella definizione della nuova identità dell'ariano: "quanto più priva di concretezza e di realtà storica era la figura 'positiva', tanto più importante diventava quella della sua antitesi, e cioè dell'ebreo". Al di là dell'effetto della propaganda e della socializzazione delle nuove generazioni, l'attecchire dell'antisemitismo è dunque, per l'autore, il risultato di un meccanismo complesso, di natura indiretta, consistente nell'interiorizzazione dell'identità politica del regime nazista. Un'identità che, ben lungi dall'essere un "nichilismo", si fondava non soltanto su esclusioni, ma sull'affermazione di valori positivi, quali "salute", "potenza", "cultura". Valori dei quali gli ebrei, e solo loro, rappresentavano l'esatto opposto. Meno convincente è invece la spiegazione del passaggio dalla discriminazione allo sterminio sulla base della diffusione, a partire dallo scoppio della guerra, di una "cultura del risentimento", nella quale gli ebrei assumono un ruolo di negatività totale. Pur condivisibile, quest'ottica privilegia unilateralmente, infatti, l'analisi della componente ideologica del nazismo, ponendo in secondo piano il carattere poliarchico del regime e la competizione esistente al suo interno fra la logica "sterminazionista", da un lato, e quella economica dello sfruttamento schiavistico dei prigionieri, dall'altro.
Francesco Cassata
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