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(recensione pubblicata per l'edizione del 1985)
recensione di Frigessi, D., L'Indice 1986, n. 4
Testimone pacato e ironico ma testimone nel significato pieno del termine, Giorgio Voghera ristampa ora, a cinque anni di distanza, i suoi saggi di cultura triestina. Fin dalle prime pagine del libro ci guardano alcuni numi tutelari della triestinità, allineati in un piccolo pantheon iconografico: Umberto Saba con le palpebre abbassate a metà, Bobi Bazlen a sedici anni con le mani in tasca, il filosofo Giorgio Fano e il matematico Guido Voghera, Virgilio Giotti e Edoardo Weiss. Introdotti da queste immagini, possiamo leggere le pagine che descrivono il carattere, le idee e le abitudini degli intellettuali triestini frequentati da Voghera - ancora ragazzo - nel primo dopoguerra, o che per esempio analizzano l'influsso che l'elemento ebraico e lo spirito mitteleuropeo hanno avuto sulla letteratura triestina dei primi decenni del secolo. Non di rado queste pagine versano una luce di chiarezza critica su argomenti affrontati altrove in modo confuso e controverso.
La raccolta si apre con un saggio ormai famoso - "Gli anni della psicanalisi" - in cui si descrive il violento "ciclone" che da Vienna scese a Trieste, importato da Weiss, ed in breve volgere di tempo scosse e travolse l'esiguo ma ricettivo ambiente degli intellettuali triestini in cui Giorgio Voghera ebbe la fortuna di crescere. È interessante che Voghera metta in luce l'antifascismo implicito con cui questi triestini vissero la prima stagione della psicoanalisi in Italia. Si tratta di un atteggiamento che, in qualche modo, richiama alla mente la cosiddetta antiletterarietà della letteratura triestina, non sedotta dal pensiero estetico di Croce.
Tra tutti i personaggi del libro - Svevo, Camber-Barni, Stuparich, Weiss, per non citare che i più famosi - emerge la figura di Umberto Saba. Gli incontri tra il poeta e il bambino, poi ragazzo, conservano nella loro semplicità un poco d 'incanto mentre le appassionate discussioni - soprattutto politiche - tra il "moralista e utopista" Guido Voghera, padre dell'autore, ed il poeta rendono con grande vivacità il clima di quel dopoguerra. Del padre Guido, che i lettori conoscono piuttosto come l'anonimo triestino del romanzo "Il segreto", Giorgio Voghera ha scritto, in forma di lettera indirizzata ma non spedita a Carlo Levi, una breve biografia che illumina il carattere di quest'uomo integerrimo, di vasta cultura e alta passione politica. Ma non per caso le pagine forse più belle del libro sono quelle che raccontano il primo incontro con la poesia di Saba, che coincide con il primo amore: "Bianca, le tue pupille/ ridono, e sono freccie".
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