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incantevole, forse il più bello dei libri di palandri.
L'incipit è uno dei peggiori che si sono visti in tutta la letteratura italiana. La storia sembra ricalcata su consumate sceneggiature hollywoodiane stile Voglia di tenerezza con pretese intellettuali. Decisamente non ci siamo.
è un libro veramente bellissimo. E' difficile trovare un autore capace di entrare cosi bene nel rapporto tra un padre ed una figlia adolescente.
Recensioni
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recensioni di Pent, S. L'Indice del 2000, n. 05
La parabola narrativa di Enrico Palandri inizia con un involontario punto di riferimento generazionale, quel Boccalone del 1979 che - con Altri libertini di Tondelli e, per certi versi, Treno di panna di De Carlo - fece pensare a un autore destinato allo spazio breve del coro giovanilistico di quegli anni, quando spesso una finta ribellione serviva da viatico per una comoda carriera. Il romanzo sul famigerato '77 era ricco di connotazioni istintive, frutto di una partecipazione critica al moto burrascoso del periodo "di piombo", ironico e genuino quel tanto da farlo considerare un felice diario di bordo di una gioventù votata comunque presto - e come sempre - a ritrovarsi incasellata e inquadrata, magari davanti a un computer anziché ai tasti di una vecchia calcolatrice.
Con la calma dei saggi, Palandri ha invece atteso che quei giorni sfumassero, cominciando a cercare una severa strada di narratore vero, disposto a farsi avanti solo con qualcosa da dire: i romanzi successivi, da Le pietre e il sale fino a Le colpevoli ambiguità di Herbert Markus, ci parlano di uno scrittore attento e sensibile, certamente non innovativo, ma consapevole di una propria ricchezza d'intenti rivolti comunque - in toni più sommessi - alle nostre generazioni, al nostro tempo.
La ricerca privata conduce adesso Palandri sulle sponde di un sentimentalismo naturalmente realistico, dove il più classico dei romanzi di formazione diventa allo stesso tempo l'ago della bilancia di due diverse generazioni, quella dei padri e l'altra - scabrosa, controversa - dei figli. Angela a sedici anni vola a Cambridge per conoscere la nuova famiglia del padre, famoso fisico benevolmente ossessionato dal tempo e dalle sue possibili deviazioni all'interno dell'universo. Il confronto si perde nella confessione di lui che si rivela condannato da un male incurabile. Tornata a Milano, Angela apprende che il padre è scomparso, come inghiottito da uno dei suoi buchi neri o trasportato verso la salvezza dal sogno mitico della macchina del tempo. Angela lotta coi suoi anni giovani per trovare una strada, un futuro: entra in contatto con Olmo, vecchio amico del padre Guido che con lui divise un iniziale entusiasmo per la fisica sfociato in una accomodante e inutile laurea in filosofia. Olmo vive tra le montagne, è proprietario di una grossa segheria ereditata dal padre; la sua storia d'amore con la moglie Elena è al bivio dell'abitudine, le certezze di sempre forse sono solo una giustificazione ai vecchi fallimenti. L'incontro tra Angela e Olmo è come l'apertura del testamento ideale di Guido: il suo messaggio dal buio in cui è svanito vuol essere un regalo per entrambi. Olmo si renderà conto che la sola macchina del tempo è quella che ciascuno di noi porta avanti con le proprie esperienze; Angela prenderà davvero il volo verso la vita, in un finale protratto nel futuro in cui si riannodano tutti i fili dell'esistenza, in una giusta, dignitosa accettazione del destino e del ruolo che la vita decide per ciascuno di noi.
La commozione spesso si presenta disarmata e vestita di normalità: ciò che Palandri riesce a comunicarci, con questo romanzo intenso e compatto, è il senso primario della nostra appartenenza al mondo e alle esperienze che ci crescono attorno. Il passaggio di consegne generazionali, i conflitti adolescenti e della maturità rifiutata, i contrasti tra figli e genitori, tutto si amalgama in una narrazione aperta ed essenziale, dove i diversi momenti temporali sembrano agganciarsi tra di loro in una consequenzialità ideale e senza forzature. La sofferenza e i distacchi sono i passaggi obbligati per trovare se stessi: da una generazione all'altra siamo noi le lancette del tempo, noi a lasciare un segno dopo aver seguito un'impronta. Un romanzo riuscito, tanto vero quanto ricco di tutte quelle piccole, insignificanti connotazioni quotidiane che, di giorno in giorno, ci tengono felicemente in piedi nella confusione di vivere.
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