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L'amore ai tempi della Bossi-Fini - Cristina Artoni - copertina
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Descrizione


Essere "straniero" nel paese in cui si vive può capitare a tutti. In Italia, con l'attuale legislazione, la condizione di straniero è diventata una colpa da perseguire con atti giudiziari e con l'intervento della forza pubblica. Non è facile ottenere un visto e sembra ancora più difficile riuscire ad avere un permesso di soggiorno; alcuni immigrati rischiano così di perdersi nel labirinto della burocrazia e inevitabilmente scivolano nella clandestinità. Il libro raccoglie storie che esemplificano che cosa significhi essere straniero in Italia; frammenti di vita quotidiana di persone costrette a un'esistenza difficile, a volte impossibile, in situazioni al limite del surreale, il cui lieto fine non è affatto scontato.
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Dettagli

2005
1 gennaio 2005
XVII-140 p., Brossura
9788842492757

Voce della critica

Quando l'ho ricevuto il libro a dire la verità ho avuto paura. Paura di ritornare da brava migrante “integrata” a mettere il dito nelle mie piaghe sedate ma non dimenticate. Non avessi avuto le mie ambizioni di antropologa e giornalista avrei fatto a meno di leggere questo libro. è una serie di racconti che mettono a nudo noi stessi prima che le istituzioni che legiferano nel nome della giustizia nel nome dei diritti e dei doveri. Racconti in prima persona mediati ogni tanto dall'attenta penna di Cristina Artoni giornalista e perciò accessibili a tutti essenziali diretti.

Finalmente un libro sulle storie storie vere perché vissute un libro che la dice lunga su come l'Occidente sia stato capace attraverso le sue leggi non di de-umanizzare l'altro che non è cosa nuova ma di negargli la possibilità di nutrire sentimenti e affetti. Questo libro bisogna leggerlo per forza. Se ne avessi la possibilità ne distribuirei cinquantasei milioni di copie nel paese per fornire a tutti i cittadini gli strumenti per capire che cosa ha fatto la politica nel nome della loro “italianità” e per informarli che nel nome dell'”europeità” l'accesso a un diritto il diritto naturale di amare è stato negato.

Chi e come potrà quantificare il sentimento tra la cubana Luna e il suo Gabrio costretti ad amarsi nella clandestinità? E il rapporto di solidarietà chiamatelo come vi pare tra la signora Elisabetta (potenziale “badata”) e Lili (potenziale “badante”) termini ipocriti totalmente rigettati dalla signora Elisabetta che morirà esattamente un anno dopo la “deportazione” nel suo paese d'origine l'Ucraina di colei che era diventata sua “nipote”? Ventitre mesi dopo l'espulsione Lili ritornerà in Italia; nel frattempo infatti Gisela figlia della signora Elisabetta e il marito Massimo hanno speso i soldi della loro vecchia fra tribunali e avvocati perché diranno: “Era un problema di giustizia”. La signora Elisabetta aveva novantatre anni. A chi il peso morale di tutto questo? è possibile ripagare un danno così inapprezzabile?

Domande alle quali dovrebbero dare risposta non solo la politica ma ciascun individuo se solo sapessero quanto accade agli “altri da noi” (intesi non solo come migranti). Per gli uni l'umiliazione del ritorno forzato nella patria d'origine per gli altri l'uguale umiliazione di rimanere in un paese dove la tua individualità viene negata. La morte peggiore è quella sociale perché sperimentabile. L'altra morte sarà forse la migliore perché nessuno è mai tornato indietro per dirci quanto brutto sia l'aldilà.

è un bel libro ma il suo contenuto non è bello perché mette paura e angoscia. L'amore al tempo della Bossi-Fini è quello “specchio” di cui parlano gli antropologi lo specchio nel quale temiamo di guardarci per il terrore di prendere coscienza di quello che in realtà siamo diventati. Diventati perché non si può accettare che la “cosazione” dell'altro da sé sia un diritto figuriamoci un dovere. Non si può ammettere da culturalisti che l'essere umano uccida l'altro per istinto. Si uccide per acculturazione e inculturazione. Il libro rimanda come in uno specchio la nostra immagine riflessa che non riconosciamo o che non vogliamo riconoscere. Può capitare a chiunque italiano o migrante. Qui il colore della pelle c'entra poco a sottolineare che il razzismo è soprattutto il pensiero razzista quel pensiero che rinchiude le persone in compartimenti.

“Come è possibile che un essere umano possa essere preso sbattuto da una parte e dall'altra mandato via senza che nessuno spieghi il perché?” si chiede Gisella la figlia di Elisabetta. “Io non so più in che Italia vivo”. è “delocalizzata” per utilizzare un termine caro alla comunicazione globale e conclude: “Forse mi sono sbagliata forse non ho capito dove vivo”. Non è il solito libro dove il migrante viene pianto e commiserato per le ingiustizie e le lungaggini della burocrazia. è un libro dove autoctono e migrante sono raccontati per quelli che sono e cioè persone. E la loro appartenenza geografica ed etnica diventa solo una disgraziata coincidenza che mette in essere i meccanismi dell'esclusione degli uni e degli altri: tutti insieme. E hanno paura l'autoctono che fino a ieri si sentiva protetto dalle leggi di casa sua e lo straniero rinnegato prima ancora di conoscere le stesse leggi che lo escludono dalla comunità. Gli autoctoni si sentono estranei al loro sistema e il migrante diventa “extracomunitario”.

Intanto la vecchia Elisabetta è morta dopo aver insegnato a Lili non già solo cosa significa la libertà ma la via della conoscenza e dell'accesso alla libertà degli altri. “Altri” specializzati nel togliere il diritto di vivere che è la cosa la più cara e transculturale per eccellenza: la libertà di amare e di esserne ricambiati. “Basta una macchina della polizia e mi vengono i brividi” – conclude Lili mentre sta ricomponendo tutto l'accaduto in un cassetto per dimenticare. Massimo genero di Elisabetta “disintegrato e per niente apocalittico” profetizza: “Comincio a pensare che la salvezza viene da loro per la loro sensibilità d'animo”.

Belle storie d'amore. Amore per il lavoro per i luoghi e amore tra le persone. C'è Beto gay nero ed extracomunitario e Federico suo fidanzato: “Questa legge è un insulto alla cultura occidentale”. C'è Liz la canadese dagli occhi turchesi innamorata del lavoro e del Belpaese che rifiuta per una questione di principio un matrimonio di comodo che risolverebbe i suoi guai. C'è Helena figlia di egiziani nata a Firenze e precipitata nella clandestinità perché suo padre è irregolare: la sua professoressa d'inglese Eloisa ha creato attorno a lei una catena di solidarietà pronta a proteggerla. E Amor tunisino muore nel bagagliaio dell'auto dell'amata che lo trasportava in Italia clandestinamente. Si chiamava Amor. Che nome. E ancora Korima rifugiato politico in fuga dal Togo dove il regime politico è una monarchia presidenziale. La moglie è ancora lì e rischia la vita perché in molti paesi africani il concetto di opposizione equivale a inimicizia e condanna a morte. Succede che i dissidenti siano scaricati in pieno oceano da un aereo in volo. Vecchie storie d'Africa

La mia storia è questa. Facevo da vent'anni le file davanti alla questura. Avevo fatto le pratiche per la cittadinanza da più di due anni. Il decreto di rifiuto era pronto sul tavolo del ministro degli Interni perché non avevo un reddito adeguato. Incontrai Angela. Il papà di Angela conosceva “Lui” (il suo nome lo conserverò per sempre nella testa e nel cuore) “Lui” intervenne garantì sul suo onore da servitore dello stato che ero una donna perbene. Stavo ultimando il mio dottorato di ricerca. Il presidente Ciampi firmò il decreto. Diventai cittadina italiana. Per merito. Facemmo una grande festa dove si mangiò italiano e camerunese. I miei nuovi concittadini ballarono fino a notte fonda. Giornali e televisioni ne parlarono. Ballai per il papà Ciampi.

 

Geneviève Makaping

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