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Recensioni Gli americani a Vicenza e altri racconti 1952-1965

Recensioni: 5/5

Una serie di racconti che potrebbero figurare sotto l'etichetta «I dintorni del Prete bello», tanto appaiono variabili di quello splendido romanzo.

«Per Iris dunque John era la sublimazione della figura di Otello. Insieme a lui ella si sentiva ogni volta sul palcoscenico come se la sua carriera, tutt'altro che ostacolata dalla curvatura della schiena, fosse giunta là, al punto più alto, dove ogni artista sogna. Non a caso la signora Reolòn, la vicina di casa, raccontò a Danny Catania che, quando John saliva in casa, Iris, in abito di Desdemona, lo accoglieva cantando. E per buona parte del tempo alle domande di lui, alle parole di lui ella rispondeva sempre cantando. E la signora Reolòn aggiunge ancora che quella di Iris fu, in quei tempi, la miglior voce di soprano ch'ella avesse mai udita.»

Benché uscito dopo la sua morte, questo libro porta a compimento un progetto di Parise: radunare intorno a Gli americani a Vicenza – dove l'arrivo delle truppe della SETAF assume i caratteri stralunati di una minacciosa invasione aliena – una costellazione di altri racconti più o meno coevi. Racconti che potrebbero figurare sotto l'etichetta «I dintorni del Prete bello», tanto appaiono variabili di quello splendido romanzo popolato di personaggi festosamente eccentrici, ma in cui sopravvive anche qualcosa del Parise magico e surrealista del Ragazzo morto: «gli occhi esposti alle prime impressioni del mondo come a un tiepido e funebre refolo d'aria primaverile – sbarrati davanti alla vanità inconsolabile che si cela dietro qualunque mistero» (C. Garboli). Basti pensare al viscido e vizioso don Claudio, dalla veste che sa «di incenso, di crema per dopo-barba e di un odore che avevo sentito vicino alle gabbie delle scimmie durante la fiera»; ad Adelina, la cui vita si spegne lentamente nel collegio delle Addolorate fra mirabili ricami e ‘pazienze'; a Cleofe, che gira per la città vestita di fastosi cenci offrendo polvere che fa prurito, farfalle di carta giapponese, macchie finte d’inchiostro; a Teo, che si consuma d'amore per una donna a cui non ha neppure mai rivolto la parola, e quando alla fine riesce a sposarla, ormai vecchia, è solo per abbandonarla poco dopo – a tutti gli scherzi, insomma, che solo in provincia il destino gioca a chi gli viene a tiro, a tutte quelle storie tragiche e grottesche che Parise (sono di nuovo parole di Garboli) sa miracolosamente «far decollare dalla pagina», con «mano senza peso» e con «il riso di eterno puer».)
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