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Americana - Don DeLillo - copertina
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Americana

Descrizione


L'America, i suoi miti, i suoi fantasmi e le sue ossessioni nel romanzo d'esordio dell'autore di Underworld.

L'affascinante David Bell incarna la realizzazione del sogno americano. Nonostante sia poco piú che ventenne è già manager di una grande rete televisiva. All'apice del successo il giovane trova però davanti a sé un vuoto insopportabile che lo spinge ad allontanarsi da Manhattan per intraprendere un viaggio nel cuore dell'America, a bordo di un vecchio camper e con la cinepresa sempre a disposizione, accompagnato da tre stravaganti soggetti. Scopo del viaggio è riprendere la vita della gente comune nelle piccole città di provincia, catturando i volti veri, la rabbia, i conflitti che animano il paese, tutto quello che la televisione ignora o mimetizza, cioè la realtà. È il film della sua vita, il tentativo folle, e commovente al tempo stesso, di scrivere un pezzo di storia americana.

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Dettagli

2014
Tascabile
22 aprile 2014
420 p.
9788806221386
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Indice


Le prime frasi del romanzo:

1

E così arrivammo alla fine di un altro stupido e lurido anno. Le luminarie sormontavano scintillanti le porte dei negozi. I venditori di caldarroste spingevano i carretti fumanti. Di sera, la folla in strada era immensa e il fragore del traffico saliva a trasformarsi in un'ondata di piena. I Babbi Natale della Quinta Avenue scampanellavano con una delicatezza strana e quasi dolente, come a spargere sale su un taglio di carne guasta. In tutti i negozi risuonavano musichette, canti e osanna natalizi, e le trombe dell'Esercito della Salvezza diffondevano i lamenti marziali di antiche legioni cristiane. L'effetto sonoro in quel luogo e in quel momento era bizzarro, fragore di piatti e rullare di tamburi, come un rimprovero impartito a dei bambini per un peccato imperdonabile, e la gente era infastidita. Ma le ragazze erano adorabili e spensierate, entravano nei negozi più stravaganti a fare acquisti, attraversavano i tanti tramonti magnetici della sera come majorettes, alte e rosee, stringendo ai morbidi seni pacchetti avvolti in carta colorata. Il pastore tedesco del cieco continuava a dormire senza accorgersi di nulla.
Finalmente arrivammo a casa di Quincy. Ci aprì sua moglie. Io le presentai la ragazza che mi accompagnava, B. G. Haines, dopo di che contai i presenti. Nel farlo mi ritrovai, quasi senza accorgermi, a chiacchierare con lei dell'India. Quella di contare i presenti nelle case altrui era una mia vecchia abitudine. Mi era sempre sembrato importante sapere esattamente quante persone avevo intorno, forse perché le notizie ricorrenti di disastri aerei e offensive militari ponevano sempre grande enfasi sul conteggio dei morti e dei dispersi, precisione utile a pungolare anche i cervelli più intorpiditi come una scossettina elettrica. Contati i presenti, il secondo imperativo in ordine di importanza era accertarsi del loro grado di ostilità. Relativamente semplice. Bastava vedere chi si voltava a fissare il nuovo arrivato appena varcava la soglia. In genere bastava un'occhiata attenta per farsi un'idea quasi esatta. Quella sera nel soggiorno c'erano trentun persone. Ostili, più o meno tre su quattro.
La moglie di Quincy e la mia accompagnatrice si scambiarono un sorriso nel notare che portavano gli stessi orecchini con il simbolo della pace. Restammo ad aspettare che qualcuno si avvicinasse per fare conversazione. Era una festa e non avevamo nessuna voglia di intrattenerci fra noi due. Eravamo lì per incontrare gente interessante con cui chiacchierare, quindi rivederci alla fine della serata e dirci quanto ci eravamo annoiati e com'era bello ritrovarsi. È questa l'essenza della civiltà occidentale. Solo che in realtà non aveva poi grande importanza, visto che un'ora dopo ci annoiavamo tutti indistintamente. Era una di quelle feste talmente noiose che ben presto la noia diventa argomento principale di conversazione. Dove ci si sposta da un gruppetto di convitati all'altro e si sente la stessa frase almeno dieci volte: "Sembra di stare in un film di Antonioni". Con la differenza che le facce non sono altrettanto interessanti.
Decisi di andare in bagno per guardarmi allo specchio. Alle pareti erano appesi sei graffiti incorniciati. Lettere enormi in grassetto, corpo 60 circa, su carta patinata, stampate in corsivo per dare un'impressione di maggiore realismo. Tre dei graffiti erano blasfemi, gli altri tre osceni. Le cornici avevano l'aria di costare un sacco. Mi accorsi che avevo un po' di forfora sulle spalle della giacca. Stavo per spazzolarla via, quando entrò nel bagno una ragazza che si chiamava Pru Morrison. Veniva da un paesino non meglio specificato della contea di Bucks, e cominciava appena a lasciarsi travolgere dal vortice della monotonia metropolitana. Rimase immobile a guardarmi, con la schiena contro la porta chiusa. Aveva solo diciotto anni, e io ero al tempo stesso troppo vecchio e troppo giovane per interessarmi a lei. Ciò detto, non volevo farle scoprire che avevo la forfora.
"Ho pensato di fare un salto a lavarmi le mani."
"Chi è quella negra?"
"Pru, questa settimana da Peck and Peck c'è una grande svendita di frustini. Perchè non fai una scappata?"
"Non sapevo che uscissi con le negre, David."
Io cominciai a lavarmi le mani. Pru si mise a sedere sul bordo della vasca da bagno e aprì il rubinetto giusto quel tanto per far scorrere un filo d'acqua. Mi domandai se il gesto sottendesse messaggi sessuali di sorta. A volte è difficile capirle certe cose.
"Mi è arrivata una lettera da mio fratello" disse lei. "Lo hanno messo al comando di un lanciagranate M-79. Sta in una delle zone di guerra più pericolose. Scrive che per ogni centimetro quadrato di terra ci si batte con le unghie e i denti. Dovresti proprio leggere le sue lettere, David. Sono micidiali."
Tutte le sere si sentiva parlare della guerra in televisione, ma noi preferivamo andare al cinema. Ben presto i film erano cominciati a sembrarci tutti uguali, e così avevamo traslocato in massa in camerette immerse nella penombra dove ci riunivamo a eccitarci o ammosciarci, oppure a guardare gli altri che si eccitavano o ammosciavano, o a bruciare bastoncini d'incenso e ascoltare cassette praticamente mute. Io portavo sempre con me la cinepresa da 16 mm. Era un giocattolino proprio spiritoso, e ogni volta tutti ne rimanevano deliziati.

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sergio
Recensioni: 1/5

probabilmente il peggior libro di delillo.

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sergio
Recensioni: 1/5

uno dei peggiori delillo

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Gio
Recensioni: 3/5

Fa l'effetto di un lavoro preparatorio se letto con in mente Underworld, ma è comunque un'ottima prova per essere un'opera prima (e potrebbe essere un'opera matura per molti altri scrittori). È disomogeneo (la prima parte scorre compatta come una sorta di Easton Ellis sulla business life dieci anni prima di American Psycho, la seconda si dilata in rivoli narrativi provenienti dal passato) e a tratti inconcludente (l'indefinito profilo del protagonista), ma regala istantanee ("americane", per l'appunto) che restano impresse nella mente. La scrittura è già grande (e la traduzione Einaudi all'altezza).

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La recensione di IBS


"Il grande sogno non faceva concessioni alla verità dietro i simboli, alle note fra le righe, alla presenza di qualcosa di oscuro (e per certi versi ridicolo) sul bordo dello specchio della consapevolezza di qualcuno."

È il romanzo d'esordio di Don DeLillo, uscito nel 1971 negli Stati Uniti, finalmente tradotto e pubblicato anche in Italia. Già questa prima prova lo aveva segnalato come autore di grande interesse, espressione di quell'America amara di una generazione di intellettuali, che in letteratura, nel cinema, nell'arte sono la coscienza critica della società dei consumi.

Il mondo rappresentato (e da cui il protagonista fugge) è quello dell'immagine, dei media, dell'apparenza. Una New York frivola e mondana, dominata dalla noia e dal vuoto, è quella che viene splendidamente rappresentata nei capitoli iniziali. L'eleganza e la bellezza simboli di un potere che in realtà si dimostra brutale e primitivo nella sua spietatezza. L'arrivismo di alcuni, la condanna pregiudiziale ai danni di altri, la superficialità nel giudizio che diventa crudele e impietosa. Il sesso e i sentimenti come gioco e strumento per combattere la monotonia. Donne e uomini che parlano, parlano, ma non rompono la finzione dei rapporti. Protagonista è David Bell, poco più che un ragazzo, ma già pienamente inserito nei meccanismi della società newyorchese. Manager di una grande rete televisiva, considera la propria bellezza una forza e lo specchio che gliela ripropone una specie di terapia psicologica. Il pensiero positivo, oggi così di moda in Italia (ahimè quello che avveniva trent'anni prima negli Usa è ora entrato nel costume nostrano) indica appunto nell'autoincoraggiamento davanti allo specchio una forma di terapia per giungere a una maggiore autostima. Ma è troppo evidente l'inutilità, il vuoto sotteso a tutti i rapporti. Troppo angosciosa la coscienza della finzione della comunicazione televisiva che, dichiarando di rappresentare la realtà, ne propone invece solo l'aspetto più funzionale, fa da cassa di risonanza dei miti e dei simboli della società consumistica. Così l'unica via d'uscita è la fuga, l'andarsene... Ma i tempi sono cambiati e non è più un viaggio alla Faulkner quello proposto, anche se è pur sempre un cammino alla ricerca di una identità: Dave riprende con una cinepresa, attraversando gli Usa con un vecchio camper, la gente, le situazioni, le contraddizioni, in una parola la realtà, quella che la televisione ignora o che mimetizza. Si srotolano così nella narrazione storie e personaggi (un'ampia sezione del libro ripercorre in un lungo flash back anche l'infanzia e l'adolescenza del protagonista) della provincia americana e dei suoi miti. Molto di tutto ciò ricorda Nashville di Altman e i racconti minimalisti di Carver, e soprattutto preannuncia le successive opere dell'autore e i loro temi.

A cura di Wuz.it

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Conosci l'autore

Don DeLillo

1936, New York

Nato e cresciuto nel Bronx, allora abitato in gran parte da italoamericani, frequenta scuole cattoliche fino agli studi universitari; l'influenza degli studi cattolici traspare in molti dei suoi scritti e principalmente in Underworld (1997).Finiti gli studi, inizia a lavorare come pubblicitario e ad interessarsi di arte e musica, particolarmente al jazz e alla scrittura. Nel 1971 pubblica il suo primo romanzo, Americana, tradotto in italiano solo nel 2000. Nel 1972 pubblica End Zone e l’anno successivo Great Jones Street (tradotto in italiano nel 1997) che narra di un artista rock ritiratosi a vivere in un ambiente spoglio.Alla fine degli anni Settanta intraprende un lungo viaggio formativo in Medio Oriente e in India, successivamente si trasferisce in Grecia dove vive per tre anni e...

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