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Quello di Michael Cimino è un cinema degli equilibri turbati da un'errata collocazione dell'uomo all'interno del contesto storico e sociale. Una visione che, apparentemente influenzata dalla monumentale tradizione del cinema classico hollywoodiano, stempera la sua concezione spettacolare per occuparsi del singolo soggetto travolto dal tumultuoso corso degli eventi. Uno sguardo impegnato a osservare e descrivere i grandi spazi e la loro interazione fordiana sulle coscienze e sulle semplici azioni di personaggi estremamente soli anche all'interno di un tessuto in cui viene dato particolare risalto al valore dell'amicizia e della solidarietà, resa disperata dalla forza devastante e indifferente, se non addirittura ostile, della Storia. Cimino fornisce, nel corso della sua certamente non sterminata filmografia, gli elementi fondanti di una ben delineata prospettiva diacronica sul-l'America, sulle sue contraddizioni, sul concetto di perdita e sulla dicotomia sempre presente tra natura e cultura. Il libro di Benvegnù e Lasagna offre un ampio panorama sull'opera del regista del Cacciatore e dei Cancelli del cielo, indugiando più sulle sue dinamiche narrative e tematiche che sulle specifiche scelte linguistiche messe in campo nel corso di una sofferta carriera. E proprio sul difficile rapporto con l'establishment produttivo hollywoodiano, all'indomani del fiasco (di pubblico, beninteso) di I cancelli del cielo, si sofferma la seconda parte del volume, che raccoglie anche uno scritto di Kris Kristofferson (il James Averill di Heaven's Gate) e un'intervista con Steven Bach, membro della United Artist ai tempi del flop che pregiudicò la stessa esistenza della società, da cui scaturisce un ritratto di Cimino curioso e poco lusinghiero, sicuramente parziale, ma non per questo meno interessante. Giampiero Frasca
scheda di Frasca, G. L'Indice del 1999, n. 04
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