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«Ricordo come una delle cose più strazianti e tenere della mia vita quando un giorno, camminando per il mio paese con mia nonna, una contadina che aveva studiato fino alla seconda elementare, vidi sul muro delle scritte sbiaditissime che dicevano: vota tal dei tali. Io chiesi a mia nonna che cosa volessero dire, e lei non seppe rispondere. Ci rimasi molto male: volevo sapere tante cose e non c'era la possibilità di saperle, se non - uccidendo - in qualche modo le persone che amavo. Sono dovuto andar via di casa per avere la libertà di leggere un libro. C'è stato un periodo molto lungo della mia vita - quello che altri registi come Bernardo Bertolucci o Marco Bellocchio hanno sfruttato per fare - in cui io ho dovuto cercare di capire cosa fare. Io i mezzi per capire non li avevo; ho avuto confusamente delle occasioni, e sono stato ben felice di coglierle perché erano fonte di esperienza. Perciò non teorizzo la mia avventura nel cinema come qualcosa che tutti dovrebbero seguire. A cose fatte posso dire che proprio questo tipo di esperienza mi ha portato ad essere abbastanza disincantato, a vedere meno narcisisticamente il mondo. Per questo, quando trovo davanti a me qualcuno che non è della mia pasta, penso a quella frase che nel film Porte aperte ho messo in bocca a un personaggio di Sciascia, interpretato da Carpentieri. A un certo punto questo personaggio, un contadino, dice al presidente del tribunale: - Non può che esserci conflitto tra me e lei. La sua vita è stata troppo diversa dalla mia -. Ecco perché uno poi arriva in Albania e trova la propria lingua: oggi, in Albania, parlo con una donna e vedo veramente mia madre... Chissà se l'Albania, così come io l'ho vissuta e raccontata in Lamerica, esiste davvero...»
scheda di Quaglia, M., L'Indice 1995, n. 4
La lunga conversazione tra Goffredo Fofi e Gianni Amelio è l'occasione per entrare in contatto con il pensiero del regista d'origine calabrese. L'intervistatore cerca, a partire dalle concezioni cinematografiche dell'interlocutore, di farne emergere il modo particolare di rapportarsi alla realtà, di vedere il mondo al di là della propria attività di cineasta. Il fatto è che i due piani - quello professionale e quello umano - tendono a coincidere: per l'autore infatti ogni scelta linguistica diventa fatalmente una questione d'ordine morale, dalla cui soluzione dipende non solamente il valore artistico del film, ma anche il formarsi della coscienza individuale. Si potrebbe dire che la cinofilia di Amelio è stata motivo di scoperte, formazione culturale e confronto morale prima ancora che esperienza estetica. E il libro testimonia proprio l'esistenza di un "percorso di formazione" che il regista ha intrapreso nel corso degli anni. Scorrendo poi la filmografia che chiude il volume, si scopre che il titolo scelto da Fofi riprende quello - di un mediometraggio che Amelio aveva girato nel 1976 sulla figura di Bernardo Bertolucci: l'ammirazione dello studioso nei confronti del proprio "soggetto d'indagine" arriva quindi al punto di mutuarne l'atteggiamento analitico.
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