Nel nome di Omar. Rivoluzione, clero e potere in Iran

Sono trascorsi trent'anni da quando l'ayatollah Ruhollah Khomeyni prese il potere in Iran, sull'onda di una "rivoluzione verde", per tanti aspetti unica nel suo genere. Si trattò di un sommovimento collettivo che coinvolse l'intero paese. Che cosa resta oggi di quella profonda cesura? Sia sufficiente dire che il 1979, sul piano dello scenario internazionale, segnava l'esaurimento definitivo della lunga fase postbellica a favore di un trend politico, tutt'oggi operante, contrassegnato da uno spirito marcatamente liberista. Per il Medio Oriente la trasformazione dell'Iran in Repubblica islamica identificò il passaggio dall'epoca della mobilitazione laica a quella dell'identificazione religiosa. Fu l'unica esperienza di accesso diretto al potere da parte di un movimento a radice fondamentalistica. Si era in presenza di un transfert di ruoli, simboli e risorse che condizionava non solo il campo politico, ma tout court il rapporto tra pubblico e privato, assegnando nuove fisionomie all'uno come all'altro. Il volume ci aiuta a fare luce sui fattori strutturali del mutamento storico avvenuto nel paese, ricostruendo il maturare in quel contesto di elementi interagenti che resero possibile una così radicale trasformazione. Ciò facendo ci offre non solo la trama dei trascorsi storici, dalla fine del XIX secolo in poi, ma anche quei dati dell'immediata contemporaneità che sono legati alle contingenze del presente. Comprendere l'Iran, infatti, implica una riflessione su quegli elementi weberiani del potere, come il carisma e la legittimità, che stanno al centro dell'esperienza moderna. Per questo, forse, nutriamo un irrisolto rapporto di attrazione e repulsione verso qualcosa che ci sembra tanto inquietante da interpellarci quotidianamente.
Claudio Vercelli