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Una piramide di problemi. Storie di geometrie da Gauss a Hilbert - Claudio Bartocci - copertina
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Descrizione


"Le invenzioni di ignoto reclamano forme nuove", diceva Rimbaud. E questo vale tanto per la poesia quanto per la matematica. La vicenda narrata in questo libro va dalla "scoperta" delle geometrie non euclidee alla lista di problemi che il grande David Hilbert presenta nel 1900 a Parigi, mentre la ville lumière celebra la conclusione di un secolo di progressi scientifici e tecnologici: quell'Ottocento che Claudio Bartocci ricostruisce qui nelle pieghe più sconosciute. Matematici famosi, ma anche maestri di scuola, ufficiali in prigionia, brillanti letterati e dilettanti baciati dalla fortuna si rivelano visionari costruttori di "piramidi rovesciate" che partono da un punto problematico della "superficie dei fenomeni" per ritrovarsi inaspettatamente in un mondo di idee "nuove e diverse" in cui aumentano le domande e diventano sempre più elusive e sconcertanti le risposte. Ma è così che la storia della pratica matematica, fatta di speranze e di delusioni, di false partenze e di imprevedibili successi, ci appare "palpitante di vita" e non erudizione morta e imbalsamata, simile "alla triste tigre impagliata di qualche museo del passato".
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Dettagli

2011
5 ottobre 2011
387 p., ill. , Brossura
9788860304469

Valutazioni e recensioni

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maurizio .mau. codogno
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A una prima occhiata si direbbe che questo libro tratti dello sviluppo della geometria nel XIX secolo, come del resto recita il sottotitolo "Storie di geometria da Gauss a Hilbert". Se questo è il vostro interesse, mi sa che vi convenga prendere "Una via di fuga" di Odifreddi, che vi darà un racconto più organico e completo. Leggendo le prime pagine si può immaginare che parli del terzo dei ventitré problemi di Hilbert, l'unico di formulazione geometrica (parafrasando, "È sempre possibile scomporre un poliedro in un numero finito di parti che riassemblate opportunamente formino un altro poliedro della stessa area?", problema risolto qualche settimana dopo - o qualche settiamana prima? - dall'allievo di Hilbert Max Dehn. In realtà quello che dovrebbe essere il filo conduttore del libro è la definizione dei fondamenti della geometria, a partire dallo scossone con la scoperta delle geometrie non eudlidee fino a giungere all'accorgersi che Euclide aveva dimenticato di elencare alcuni assiomi: quelli di ordinamento ma soprattutto quello di continuità, l'assioma archimedeo. Da li si scopre la differenza tra uguaglianza, congruenza ed equiscomponibilità, fino a giungere finalmente alla dimostrazione che la continuità e quindi la misurabilità non è necessaria nel piano, ma lo diventa nello spazio. I temi esposti sono molto interessanti, soprattutto perché anche nei testi di storia della matematica sono tralasciati; però non mi è affatto piaciuto il modo in cui sono stati trattati. È chiaro che non esiste una via regia alla matematica, e non è certo colpa di Bartocci se i temi sono delicati: persino i matematici dell'Ottocento prendevano degli sfondoni. Però quello che ho chiamato "filo conduttore" è in pratica un gomitolo dove non si trovano i capi e il discorso si avvita spesso in digressioni che fanno perdere lo scopo principale, soprattutto se il libro non lo si legge tutto di un fiato.

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Voce della critica

  In questo libro Claudio Bartocci apparentemente racconta la storia, apparentemente breve, di un problema di geometria. Nel 1900, nella lista di problemi matematici per il secolo entrante presentata al congresso internazionale di Parigi, David Hilbert (1862-1943) lo enunciava al terzo posto; nel 1903 il suo allievo Max Dehn (1878-1952) lo risolveva. Il problema ha un sapore di cose antiche, può essere compreso da chiunque ricordi qualche nozione della geometria imparata a scuola; riguarda i tetraedri, Dante li chiamava tetragoni, cioè poliedri con quattro facce triangolari; si chiede se esistano due tetraedri di basi uguali (cioè della stessa area) e altezze uguali che non possono essere scomposti in tetraedri a due a due congruenti (o una condizione più generale che non è il caso di ricordare). Due figure nello spazio sono congruenti se si possono ottenere l'una dall'altra per traslazioni, rotazioni, riflessioni. In pratica si chiede se due di questi solidi hanno uguale volume solo se sono equiscomponibili in tetraedri: come in un puzzle, se ne disseziona uno e si rimontano i pezzi a costruire l'altro. Una possibilità del genere si verifica nel piano, per poligoni e triangoli, considerando l'area invece del volume. La soluzione di Dehn è negativa. Merita interessarsi di un simile problema, presentarlo addirittura come un problema per il secolo e, soprattutto, scrivere oggi un libro sulla sua storia? Bartocci in verità lo ha scelto con fine sensibilità, perché la soluzione del problema fa pensare a quegli episodi delle recenti guerre nei quali nel corso di una breve incursione si consuma una potenza di fuoco superiore a quella di tutta la seconda guerra mondiale, mentre le vittime controbattono con armi rudimentali manuali (se la soluzione fosse stata positiva, la si sarebbe dovuta ottenere con una costruzione euclidea). Per descrivere le armi usate nell'attacco, Bartocci non può fare a meno di percorrere la storia della geometria nel corso di tutto l'Ottocento, con puntate ben più indietro, al Seicento e a Euclide: geometrie non euclidee, spazi a più dimensioni, geometria proiettiva, geometria differenziale, la definizione dei numeri reali e la continuità, la topologia, la sistemazione assiomatica dello stesso Hilbert sono alcune delle acquisizioni emerse nel breve volgere del secolo, tutte rilevanti per la soluzione del problema; non è un fatto raro nella storia della matematica. Dalla posizione di un problema elementare nasce e cresce e si allarga una ricchezza di temi e pensieri e nuove ricerche, come una piramide rovesciata, conclude Bartocci. Viene da chiedersi come la piramide stia in piedi: non certo infilando la punta nel terreno, ché si riproporrebbe un'idea di fondamenti sbagliata; l'unico modo per una piramide per stare dritta sul suo vertice, se possiamo arricchire l'immagine, è quelle di ruotare, come una trottola, e infatti la piramide descritta da Bartocci è un vortice di idee. Il libro non è tuttavia una storia della geometria, ma si presenta dichiaratamente come una passeggiata, un'esplorazione nella giungla, fuori sentiero ("Gli avventurosi percorsi di ricerca che a questi teoremi conducono"), con "digressioni" necessarie e ricca di incontri inaspettati con esseri strani, fantastici; avremmo potuto seguire l'autore in altri percorsi della giungla, l'analisi, o l'algebra, e in ogni caso trovare analoghe meraviglie, perché la matematica moderna è nata in quel secolo, ed è nata in tutte le sue articolazioni con le stesse caratteristiche, che ancora adesso sono difficili da spiegare; e avremmo apprezzato ancor più le "contaminazioni concettuali" che stanno a cuore all'autore. La scelta della geometria è comunque indovinata, perché mai come nell'Ottocento è stato giusto dire "geometra" per "matematico": matematica, fisica e filosofia sono integrate nelle ricerche e nelle ricadute della geometria, come traspare qui dall'esposizione, più che nelle altre discipline. Un fatto che sorprenderà qualche lettore è per esempio l'importanza dell'astronomia e della cartografia nella nascita delle geometrie non euclidee. Forse l'impressione più forte che può restare nel lettore è che molti personaggi siano fuori di testa, non secondo l'abusato cliché, ma nel senso che disinvoltamente propongono come matematica idee e forme di ragionamento che fino ad allora non erano matematica, e usano un linguaggio che oggi come allora non sembra matematico; e non sono tacitati, le loro idee sono accolte e considerate, e al massimo criticate per migliorarle e renderle comunicabili. Perché sono tutti presi dal fuoco della libera invenzione, quella che Georg Cantor (1845-1918) teorizzerà parlando di matematica libera. Un esempio, tra i tanti contenuti in questo volume, si trova spulciando nella geometria proiettiva, dove si definiscono enti immaginari come "enti di ragione senza esistenza, ma del quale si possono nondimeno supporre certe proprietà (…) e al quale si applicano gli stessi ragionamenti che a un ente reale o palpabile". Jean-Victor Poncelet (1788-1867) parla di "cambiare la configurazione [di una figura] attraverso un movimento progressivo e continuo" con variazioni insensibili, conservando le relazioni o proprietà metriche. Per lui "immaginario" è "un oggetto che da assoluto o reale che era in una certa figura, sarà diventato completamente impossibile o non costruibile nella figura correlata [ottenuta con il movimento progressivo e continuo]". Bartocci ricorda l'ironia di Bertrand Russell (1872-1970): "Il metafisico che inventasse qualcosa di tanto insensato quanto i punti ciclici [immaginari all'infinito] sarebbe cacciato a suon di fischi, ma il matematico può passarla liscia impunemente". Bartocci resiste alla tentazione di teorizzare su cosa è diventata la matematica, lascia parlare i fatti, come li ha raccontati, ma qualche considerazione viene spontanea. Per esempio, in tanti campi in modo indipendente si assiste al passaggio da un livello di problemi a uno superiore, in algebra dai numeri alle proprietà delle operazioni, in geometria dai punti alle trasformazioni dello spazio. Oggetto della matematica diventano i concetti, e la creazione e manutenzione dei concetti è diversa dal calcolo e dalla deduzione, anche se ne fa uso, e libera da un'ontologia restrittiva. Si scopre che l'astratto facilita la soluzione di problemi concreti, o è addirittura necessario. L'esposizione è selettiva rispetto alla storia complessiva, taglia via molto, ma molto resta (una caratteristica paradossale degli insiemi infiniti). Bartocci non fa sconti; molte spiegazioni sono relegate nelle note, ma il discorso non concede nulla alla divulgazione, vuole fare capire; qualche volta per spiegare un concetto o una definizione l'autore li riformula in termini moderni, ma in tal caso la comprensione diventa anche più difficile, perché chi è che padroneggia tanta matematica? Bartocci ha un'erudizione spaventosa, ma su conoscenze importanti; a 225 pagine di testo si affiancano ben 82 pagine di note, e 60 pagine di bibliografia. In più, per Bartocci i protagonisti della matematica non sono nomi ma persone, delle quali appena può ci descrive la situazione e i problemi umani (per esempio per Poncelet la guerra in Russia, nel 1812, e i quindici mesi di prigionia durante la quale, in totale isolamento, riuscì a ricomporre le sue conoscenze ed elaborare le sue idee innovative). Vagabondare nei sentieri della matematica concettuale dell'Ottocento è quindi anche piacevole, con un velo di tristezza al pensiero che tali meraviglie della creatività umana rischiano di essere destinate all'oblio, non si studiano più nemmeno all'università; libri come questo hanno una funzione vicaria, tengono viva la memoria. Gabriele Lolli

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