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Storia e utopia - Emil M. Cioran - copertina

Descrizione


Quando questo libro apparve, nel 1960, suonò come una voce appartata, subito coperta dal chiasso delle cose in baldanzoso movimento; oggi quello stesso movimento delle cose lo ha suffragato, a distanza di tempo, in modo allarmante. Ma Cioran non va misurato su alcuna attualità che non sia quella, perenne, di una caduta originaria, la «caduta nel tempo». Come leggiamo in questo libro, «una volta cacciato dal paradiso, l’uomo, perché non ci pensasse più e non ne soffrisse, ottenne in compenso la facoltà di volere, di tendere all’atto, di inabissarvisi con entusiasmo, con brio». Di quell’accecato entusiasmo, di quel sinistro brio è fatto ciò che da qualche secolo chiamiamo storia. All’interno di essa agiscono certe forze immense che non solo gli storici, ma i pudibondi psicologi dimenticano sempre più spesso di nominare. Cioran sa osservarle con la maestria di un moralista di Versailles che si sia educato su Dostoevskij e sulle taglienti discriminazioni dei testi buddhisti: la «nostalgia della servitù» e l’«euforia della dannazione», il «delirio dei miserabili» e le «virtù esplosive dell’umiliazione», altrettante tappe di un grande viaggio che qui viene definito «l’odissea del rancore». Ma c’è qualcosa di ancora più disperante della storia: la pretesa di uscirne con i mezzi forgiati dalla storia stessa, l’utopia. Se dissipiamo la loro cornice di Buone Intenzioni, le utopie sono inferni rosati, che non esercitano più neppure l’attrazione dell’orrido. E il loro difetto non è nella lontananza dalla realtà, ma nella capacità di anticiparci con notevole precisione un futuro di squallore. «I due generi, l’utopistico e l’apocalittico, che ci sembrano così dissimili, si fondono, stingono adesso l’uno nell’altro per formarne un terzo, meravigliosamente adatto a rispecchiare la sorta di realtà che ci minaccia e alla quale diremo tuttavia di sì, un sì corretto e senza illusioni. Sarà il nostro modo di essere irreprensibili davanti alla fatalità».

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Dettagli

5
1982
18 ottobre 1982
160 p., Brossura
9788845905186

Valutazioni e recensioni

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Emanuele
Recensioni: 5/5
Storia e Utopia raccontano l'oggi

Come una lucida profezia Cioran vede la deriva della società democratica francese (e occidentale ) e con spietata lucidità ne vivisezione le debolezze. A questa contrappone la dolente inerzia della Russia (ai tempi Unione Sovietica) e ne predice la sua fine. Il libro è brillante e i toni sono sempre così alti da sembrare deliranti però, tra le pieghe di questi deliri, si scorgono verità scomode da accettare.

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Recensioni: 5/5

Dal momento che si comprende che la riedizione della "Trasfigurazione" del '90 è un'edizione spuria, la prima cosa che si pensa è che sarebbe auspicabile venisse posta a disposizione la versione originale degli anni '30. Fregandosene del "politically correct" di Gallimard e dello stesso Cioran, l'Adelphi, o chi per lei, dovebbe avere il coraggio di procedere proprio a QUESTA traduzione. Del resto, non v'è nulla di disdicevole, nelle cosiddette "pagine proibite", bensì apliano il senso della paradossalità rabbiosa e disperata che sempre e comunque contraddistingue il grande Emil. Fatevene portavoce, per favore!

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Voce della critica

CIORAN, EMIL, Storia e utopia, Adelphi, 1992
CIORAN, EMIL, Schimbaraa la fata a Romaniei, Humanitas, 1990
recensione di Renzi, L., L'Indice 1995, n.10
recensione pubblicata per l'edizione del 1992

In occasione della scomparsa di Cioran il 20 giugno 1995 i giornali italiani hanno degnamente ricordato nelle loro pagine culturali il grande pensatore che ha prestato il suo stile inimitabile al credo del Nulla. Per una strana coincidenza, invece, il giorno stesso della scomparsa dello scrittore, "la Repubblica" ospitava un pezzo di Tahar Ben Jelloun che ricordava con angoscia che anche questo accanito negatore della vita aveva preso parte in gioventù ai deliri politici del suo paese, la Romania. Era stato un nazionalista, un fascista forse. Il segreto è racchiuso in un libro di gioventù, "La trasfigurazione della Romania" scritta da Cioran venticinquenne nel 1936, e apparso naturalmente non in Francia, ma in Romania.
Per saperne di più non c'è altra via che leggere quest'opera, esclusa nella summa francese di Cioran, "Oeuvres", Gallimard, 1995, ma riedita in originale a Bucarest nel 1990.
Un'eventuale traduzione in italiano della "Trasfigurazione della Romania" nella riedizione del 1990 provocherebbe, credo, delusione. Ci si trovano cose spiacevoli, ma non è Léon Bloy, non è CélinŠ. C'è poco contro gli ungheresi, quasi niente contro gli ebrei. Temo non si troverebbe un editore pronto ad affrontare una simile assenza di scandalo.
La materia dello scandalo non mancherebbe, a dire la verità, ma il fatto è che dall'edizione del 1990 sono state eliminate alcune pagine "pretenziose e stupide", come avverte lo stesso Cioran nella prefazione della riedizione del '90, diffidando chiunque dal ripubblicarle.
Ma si sa com'è con le cose proibite... Quelle pagine "pretenziose e stupide" circolano. Appena gliene ho parlato, Marco Cugno, profondo conoscitore di cose rumene, me le ha messe a disposizione. In queste pagine si concentra tutto ciò che il lettore di Cioran non avrebbe mai voluto leggere. C'è l'antisemitismo, c'è la formula personale del nazionalismo di Cioran: un misto di quanto c'è di peggio, Hitler più Stalin. È proprio vero, come ha scritto Franèois Furet che gli intellettuali del nostro secolo hanno corso istericamente agli estremi. Il giovane Cioran, che afferma la necessità di disfarsi allo stesso tempo degli ebrei e della proprietà privata, aveva cercato di occuparli contemporaneamente tutti e due.
La coerenza non essendo il forte di Cioran, ci sono oscillazioni e ambiguità, alcune delle quali vanno a finire perfino inaspettatamente e fortunatamente in direzione della moderazione.
Edgar Reichmann su "Le Monde" del 22 giugno ha ricordato che nelle pagine proibite (le conosce anche lui) Cioran ha scritto: "Se fossi ebreo, mi suiciderei subito". Ma se guardiamo al contesto, il significato cambia: "In tutte le cose, gli ebrei sono unici; non hanno pari al mondo curvi sotto una maledizione della quale è responsabile solo Dio. Se fossi ebreo mi suiciderei subito".
Ma l'"unicità" dell'ebreo, che lo fa grande, prima o poi lascia il suo segno negativo: l'ebreo "è come se discendesse da un'altra specie di scimmie di noi", cosicché "l'ebreo è prima ebreo e poi uomo"...
Se mai, pur senza queste pagine, potesse esserci una traduzione della "Trasfigurazione", otterremmo un imprevedibile e interessante risultato: quello di poter leggere uno dei libri più belli di Cioran, "Storia e utopia", del 1960, come una palinodia.
Con "La trasfigurazione" davanti, vedremmo infatti che Cioran ritratta Cioran. Gli argomenti rivolti a Constantin Noica (vedi "Amico lontano", Il Mulino, 1993), sono in realtà in gran parte diretti contro il se stesso di un tempo.
"La trasfigurazione" è un programma di destra politica e culturale. La premessa e il motivo ritornante sono dati da uno scenario hegeliano sul quale, come in un teatrino, si muovono i grandi popoli, fondatori di imperi e portatori delle grandi idee dell'umanità: i greci, i romani (il cui impeto, a dire la verità, come quello inglese è stato piuttosto fine a se stesso; la storia ogni tanto difetta di hegelismo), i francesi, i tedeschi, i russi. Gli ebrei, anche senza impero. Non gli italiani (il Rinascimento è rimasto senza corrispettivo politico, e la rivoluzione fascista di Mussolini lo convince poco). Non gli ungheresi, sotto il cui giogo, si sa, Cioran era nato; non tutti gli insignificanti vicini della Romania: bulgari, serbi, cechi, "rifiuti della storia" dei quali il buon Dio, secondo il giovane Cioran, ha circondato il suo paese. In questo vuoto si apre per la Romania la possibilità di "fare il salto", di "trasfigurarsi".
Il genio germanico è negativo, distruttivo, vale per quello che nega e non per quello che afferma: "Gli avvenimenti importanti della Germania sono una sequenza di 'anti'... c'è da chiedersi in che modo si sarebbe definita [la Germania] se nel mondo non ci fossero stati il papato, il cattolicesimo, il razionalismo e il classicismo contro cui reagire... Il luteranesimo, il romanticismo e l'hitlerismo hanno provocato per reazione delle crisi nel mondo".
Un'ammirazione più grande Cioran mostra per la Russia, scossa da più di un secolo di profetismo che culmina prima in Dostoevskij, poi nella Russia bolscevica.
A questa temperatura "spirituale", il segno politico - non è una novità - si annulla, e destra e sinistra si equivalgono. L'importante è che le idee ardano, e nell'incendio vada ben bruciato il disprezzato parlamentarismo borghese.
Come si vede appare qui tutto l'armamentario della destra del tempo: il rifiuto della tradizione ma anche della socialdemocrazia, il disprezzo per l'utilitarismo inglese, la condanna del parlamentarismo - fucina, per Cioran, di megalomani, mentre ciò di cui c'è bisogno è di geni.
Molti di questi giudizi Cioran li riprende, per rovesciarli, in "Storia e utopia".
Nella "Trasfigurazione" il presupposto necessario della visione proposta era indicato nel fatto biologico della "febbre" giovanile. La frenesia era vietata ai maggiori di trent'anni. In "Storia e utopia" il ripiegamento sulla democrazia è presentato come un "fenomeno naturale e affliggente", l'avanzare dell'età, altrettanto biologico della gioventù. Cioran ne avrebbe registrato di persona i sintomi inequivocabili nell'insorgere dell'"inclinazione alla tolleranza" e nell'intervenuta incapacità di desiderare la morte del nemico. Diventato alieno da ogni fanatismo Cioran si sente ora un "liberale intrattabile".
Stessa evoluzione nella valutazione dei regimi possibili. Cioran sa ormai che "tutte le società sono cattive; ma - aggiunge - vi sono gradi, e se ha scelto quella in cui vive (la democrazia) è perché sa distinguere fra le sfumature del peggio".
Per mio conto, questa definizione della democrazia, esente da ogni apologia, mi pare delle migliori, tanto che mi permetterei di suggerire che venga proposta come tema ai nostri ragazzi alla prossima maturità (potrebbe essere un tema a scelta, che potrebbe essere messo in concorrenza con uno in cui si parli dei suoi "alti ideali", secondo uno stile più consono al modo di sentire nazionale).
Nella "Trasfigurazione" la frenesia di Cioran si nutriva dell'umiliazione del proprio paese, vittima di mille anni di silenzio e trecento di servitù. Ora il nascere "servo", "persiano", "scita", "nella fattispecie rumeno" gli appare come un vantaggio. La mancanza di un titolo di nobilità, come avrebbe potuto essere per esempio nascere francesi, aiuta senza dubbio a non farsi illusioni sul senso profondo della condizione umana.
Quanto all'antico nemico, l'ungherese, impersonificato dal gendarme che aveva terrorizzato la sua infanzia", i recenti avvenimenti hanno cambiato le cose: nel '56 l'antico padrone, ora a sua volta ridotto in servaggio, si è ribellato ai russi e al comunismo, e ora suscita una certa ammirazione, al contrario del povero rumeno che "porta docile le sue catene".
Infine l'ammirazione per il bolscevismo è caduta. Se il saggio, secondo Cioran, rifiuta l'utopia, le masse non possono vivere senza, e il comunismo ha la colpa storica di "aver rovinato l'utopia". Si potrebbe andare avanti. Ma tanto basta per vedere come si è trasfigurato Cioran.

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Emil M. Cioran

1911, Rasinari

Emil M. Cioran (Rasinari, 8 aprile 1911 – Parigi, 20 giugno 1995) è stato un filosofo, saggista e aforista rumeno, tra i più influenti del XX secolo. Nato in Romania, dal 1933 al 1935 visse a Berlino, e dalla seconda guerra mondiale in avanti risiedette in Francia con lo status di apolide; scrisse i primi libri in lingua romena, ma dalla fine del conflitto scrisse sempre in francese. Vicino al pensiero esistenzialista, si distacca comunque dal movimento esistenzialista francese per la sua distanza ideologica dai principali esponenti quali Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Albert Camus, rifiutando l'impegno politico attivo sul fronte progressista e condividendo la filosofia dell'assurdo del suo amico Eugène Ionesco, benché venata dal suo pessimismo radicale....

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