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Alonso e i visionari - Anna Maria Ortese - copertina
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Alonso e i visionari
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Alonso e i visionari - Anna Maria Ortese - copertina
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Descrizione

Un romanzo poetico che esplora la solitudine, la ricerca di significato e la bellezza nascosta nella Napoli degli anni '50.

«Il mistero di questo puma è quello di una spiritualità animale che molto spesso cerchiamo al di fuori di noi, non capendo che la vicinanza con l'altro è essa stessa un mistero, e non si deve mai smettere di sognare, di trovare nel piccolo l'intensità di un'anima.» - Serenella Iovino per Maremosso


Alonso è un piccolo puma dell'Arizona. I "visionari" sono gli esseri che, via via, hanno la ventura di incontrarlo: un illustre professore italiano, ispiratore di terroristi e di altri "uomini del lutto"; i suoi figli, uno dei quali votato a una leggendaria clandestinità; un professore americano, che ha la terribile debolezza di voler capire e compatire. Tutti accomunati, nella loro funesta lucidità, da una sorta di pazzia che è come un "buco nell'azzurro, dal quale entrano il freddo e la cecità degli spazi stellari".
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Dettagli

1996
29 maggio 1996
256 p.
9788845912146

Valutazioni e recensioni

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Emiliano
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Semplicemente meraviglioso.

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Voce della critica


recensione di Bo, R., L'Indice 1996, n. 8

Nelle pagine leggere e inquietanti dell'ultimo romanzo della Ortese si aggira come ne "L'iguana" e nel "Cardillo addolorato" un animale immateriale, fatto della stessa sostanza degli dèi, anzi, un cucciolo, un piccolo puma piuttosto brutto, dal naso enorme e dallo sguardo straordinariamente amoroso e benevolo. Ma Alonso - questo il nome dato alla bestiola - non è il solo protagonista della vicenda, affiancato com'è dai "visionari" preannunciati dal titolo, n‚ in alcun modo questa potrebbe essere definita una storia di animali, bensì di persone, nel senso teatrale del termine, di presenze umane che incarnano visioni del mondo differenti e destinate a incontrarsi e scontrarsi perpetuamente, dolorosamente.
In una cornice vagamente poliziesca e con espedienti narrativi che devono qualcosa tanto al giallo quanto al romanzo epistolare e alla partitura diaristica, il lettore viene lentamente a conoscenza dei retroscena di un fatto di sangue occorso a Prato qualche anno prima dello svolgersi degli eventi narrati, un blitz nel corso del quale Julio, giovane capo e unico superstite di una pericolosa banda di terroristi, trova misteriosamente la morte in casa del padre, il professor Antonio Decimo, maŒtre à penser famoso per le sue teorie nichiliste, per la sua cruda visione dell'umanità e dei rapporti che regolano le interazioni fra gli esseri viventi.
A proposito dell'oscura vicenda - sconosciuti assassino e movente, incerta la circostanza nel suo complesso - si trovano a dialogare, in un'atmosfera ottobrina e quasi irreale, Stella Winter (che è anche l'io narrante della vicenda) e l'americano Jimmy Op, che della prima è ospite e amico.Fin dall'inizio è chiaro l'intento profondamente connotativo che anima la scrittura della Ortese: il racconto è situato in un paese di frontiera (tra Francia e Italia), in una casa dal nome fortemente evocativo (Tetto Azzurro); anche i nomi dei protagonisti contengono un sovrasenso capace di trascenderne immediatamente le gesta (Stella Winter è un "cuore in inverno" - "dura, inflessibile" - e proprio in un "dorato e spaventoso Natale" vive uno dei più tragici momenti della sua esistenza; Op sta per 'Opfering', in tedesco "offerta"). Ciò che il professore americano sa della vicenda Decimo riguarda l'incontro, avvenuto durante un viaggio in Arizona, di questa famiglia con il mansueto cucciolo di puma: è Decio, il secondo figlio di Antonio, a raccoglierlo e a portarlo con sé a dispetto della volontà paterna; alla morte invero prematura del fanciullo (anche lui, come il puma, incredibilmente buono, sensibile e paziente) l'animale seguirà il professore in Italia, sempre vagheggiando il bambino scomparso.Lì troverà in Julio un nuovo compagno: incostante, prepotente, volitivo fino all'estremo, forse solo con lui capace di comprensione e gentilezza.
A questo punto la vicenda (che emerge, con una tecnica "a stillicidio", da alcune lettere intercorse tra i due professori), diviene sempre più torbida: il comportamento degli uomini della famiglia - Antonio, Julio, il servo Alonso omonimo del cucciolo - si fa via via più ambiguo, il puma appare e scompare, muta d'identità e di stato (è un cane, assomiglia a un cane, è morto, è vivo, è reale o è un fantasma, o ancora tutte queste cose insieme) e parallelamente Stella vede infittirsi il mistero intorno alla figura del suo amatissimo Op, che risulta ambiguamente coinvolto nella vicenda relativa all'omicidio (o suicidio?) di Julio. Altri personaggi calcano la scena, il dottore, il criminologo, il funzionario della questura: personaggi teoricamente destinati a illuminare l'intrigo e che invece ne rimangono coinvolti, in virtù dell'eccezionalità degli eventi e dell'apparente follia o, per meglio dire, demenza, del professore americano, che sembra perdere progressivamente la forza fisica e la coscienza di sé, ma non la sua peculiare bontà d'animo, la sua trasparenza e fiducia negli altri.Anche il puma continua ad attraversare le pagine e la vita di Stella Winter che, come i suoi cani, comincia a fiutarne la presenza, fino al punto di cedere alla tentazione di perpetuare il rituale che occupava gli ultimi giorni sereni di Jimmy, quello di predisporre una ciotola d'acqua fresca e pura per placare l'inestinguibile, cosmica sete del cucciolo reietto e messianico.
La conclusione (la prigionia di Op, la sua follia sempre più delirante, il tentativo di infangarne la figura e l'"offerta" della sua morte redentrice; infine, il ritorno alla calma nella vita di coloro che lo avevano avvicinato, Stella in primo luogo) non dipana certo - n‚ tale scioglimento era necessario o voluto - tutti i nodi emersi nel corso della narrazione. Non conosceremo il colpevole, n‚ i moventi del delitto Decimo, n‚ ci sarà dato di comprendere con certezza le motivazioni profonde dei protagonisti della vicenda.
Ciò che in questo romanzo-metafora viene lucidamente messo in scena e comunicato con una forza - e, nel contempo, una dolcezza - non comuni, è il gioco delle parti, è lo scontro generazionale, l'eco terrificante di quegli anni di piombo che non si è ancora spento dentro le nostre anime; è la straordinaria tensione dell'uomo verso l'Assoluto, la riproposizione di una panica fusione con il Tutto: è la ricerca di ciò che, come recitano i versi posti in epigrafe e dovuti a Brodskij, mescola le sue tracce con l'acqua dell'oceano.In questa prospettiva così aperta sul destino dell'uomo, sul senso della sua esistenza, sulla profondità dei suoi sentimenti buoni e cattivi, si scontrano massimi sistemi (l'America e il suo sogno pragmatista e libertario, evocati anche nell'ultima disincantata lettera di Op al presidente Lincoln), uomini "del lutto" e uomini (e donne, e bambini) di pena, servi e padroni, cultura e innatismo.
Qui, fra i livelli ciclicamente intersecantisi di una storia che non è completamente esaustiva perché è la storia dell'umano definitivamente spodestato dal suo ruolo centrale nell'universo, apprendiamo che i più atroci delitti compiuti dalla nostra specie sono ancora quelli perpetrati nei confronti dello "Spirito del mondo", che non può e non deve essere tradito e trascurato, e che un orizzonte privo della presenza pur ingombrante degli dèi e dei padri è un orizzonte tragicamente e pericolosamente incombente sugli uomini, proprio a causa della sua empia vuotezza. Apprendiamo che la speranza di una finale palingenesi, per la terra "tenera tanto nelle sue risposte", sussiste ancora per chi crede nella dolcezza inquieta e trascinante di questa "storia per bambini", storia di visionari capace di generare in chi la accoglie visioni innumerevoli.
Resta da enunciare ancora una dote dell'autrice, che anche in questa sua difficile prova riesce a trasformare il terreno della scrittura - luogo ideale di scontro e di accoglienza del tanto di trascendente finora ricordato - in un'entità espressiva scarnificata, asciutta, a tratti quasi dimessa, caratterizzata da quella dimensione del frammento (verrebbe da dire: poetico) in cui si congiungono e si accostano scenari di un'accecante vastità e metafisicità (l'Arizona del puma, i paesaggi mediterranei spazzati da venti e temporali) e scorci quotidiani e terrestri divorati dal tempo ("Era Genova quell'ombra verticale, vera fiancata di nave punteggiata di fanalini d'oro.Presto le fummo a ridosso; presto ci sommersero - me, il treno e i primi viaggiatori - il fumo e l'odore nauseabondo della città.Erano passate due ore da quando avevo lasciato il confine, una eternità da quella solitaria partenza.

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Conosci l'autore

Anna Maria Ortese

1914, Roma

Anna Maria Ortese è stata una scrittrice italiana. Esordì nel 1937 col volume di racconti Angelici dolori, che parvero richiamarsi al "realismo magico" di M. Bontempelli. Ma le opere successive (L’infanta sepolta, 1950; Il mare non bagna Napoli, 1953, premio Viareggio; I giorni del cielo, 1958; Silenzio a Milano, 1958) rivelarono una tempra narrativa aliena dal gioco cerebrale della poetica novecentista: a metà fra il saggio e il racconto, questi libri innestano le invenzioni favolose in squarci documentari di estrema esattezza e lucidità. Polemica morale e fantasia trasfiguratrice s’intrecciano ancora nei romanzi successivi: L’iguana (1965), Poveri e semplici (1967, premio Strega), Il porto di Toledo (1975), Il cappello piumato (1979), e negli...

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