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Anno edizione: 1983
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A venticinque anni, nel 1934, Simone Weil scrisse queste Riflessioni, vero talismano che dovrebbe proteggere chiunque è costretto ad attraversare l’immenso ammasso di menzogne che circonda la parola «società». Come sempre nelle parole più ovvie, in essa si cela una realtà segreta e imponente, che agisce su di noi anche là dove nessuno la riconosce. La Weil è stata la prima a dire con perfetta chiarezza che l’uomo si è emancipato dalla servitù alla natura solo per sottomettersi a un’oppressione ancora più oscura, ancora più capricciosa e incontrollabile: quella esercitata dalla società stessa, poiché «sembra che l’uomo non riesca ad alleggerire il giogo delle necessità naturali senza appesantire nella stessa misura quello dell’oppressione sociale, come per il gioco di un equilibrio misterioso». Da questa intuizione centrale si diparte, con cristallina virtù argomentativa, una sequenza di ragionamenti che svelano nei meccanismi del potere come in quelli della produzione e dello scambio altrettanti volti di una stessa idolatria. Scritto quando Hitler era al potere da pochi mesi e quando Stalin era venerato da gran parte dell’intelligencija come «piccolo padre» di una nuova umanità, questo testo non ha un attimo di incertezza nel delineare l’orrore di quel presente. Ma, come sempre nella Weil, lo sguardo è così preciso proprio perché va al di là del presente e percepisce un’immagine inscalfibile del Bene, in rapporto alla quale giudica il mondo. È uno sguardo che ci induce a «sfuggire al contagio della follia e della vertigine collettiva tornando a stringere per conto proprio, al di sopra dell’idolo sociale, il patto originario dello spirito con l’universo».
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Il candore di un'economia semplice stimola l'uomo solo nei suoi bisogni primari, "ogni uomo è necessariamente "libero nei riguardi degli altri uomini perché è in contatto diretto con le condizioni della propria esistenza...è assoggettato al dominio della natura e ne dà un chiaro segno,divinizzandola". Ma con l'avvento del capitalismo e della macchina sociale, la natura perde gradualmente il suo carattere divino gli uomini sono vinti e assoggettati dai suoi simili.Quello che si esprime nelle Riflessioni è un puro pensiero anarchico, di stampo marxista, ma laddove Marx lascia dei vuoti alla risoluzione del problema,la Weil propone una sorta di resistenza attiva attraverso l'etica del pensiero e della dignità "un po' di coraggio intellettuale e di chiaroveggenza è sufficiente per farci percepire il pericolo che il gioco cieco della macchina sociale riduca a quell'eccesso di miseria da cui il progresso tecnico l'aveva un poco tirata fuori",per combattere "quanto contribuisce a umiliare gli altri",la massima evangelica "tratta il tuo prossimo come te stesso" è intramontabile.La libertà è la risultante di un rapporto equilibrato tra natura e uomo sulla base dell'azione, da cui scaturisce la vita,ovvero il lavoro coscientemente concepito.I lavori differiscono tra loro, l'artigiano occupa un posto di rilievo con la sua abilità manuale,ma anche l'operaio qualificato assomiglia ad un "lavoratore perfetto".In un contesto così eterogeneo l'immagine di una "collettività libera"appare utopistica",soprattutto laddove regna asservimento del pensiero e dello spirito,ma è necessario ricordare che la "società meno cattiva è quella in cui la maggior parte degli uomini è obbligata a pensare mentre agisce".
Il perfetto compendio tra occhio critico, razionale, ed un cuore profondamente umano. E' una donna che scrive, una grande donna, prima che filosofa e scrittrice, una donna che decide di lavorare in fabbrica per comprendere da vicino il sentimento oppresso dei lavoratori.
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