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Anno edizione: 2005
Anno edizione: 2006
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Bello, umano e, perchè no, commovente. La Capria ci regala pezzettini di umanità da tenere sul comodino. Senza la presunzione di sapere, di giustificare. Da rileggere ogni tanto. Aspettando.
Un opera di questo genere, cioè un libro di "commiato",che vuol rappresentare una sorta di sintesi esistenziale ha bisogno di due elementi per definirsi riuscito: intensità nell'affrontare temi impegnativi come la morte od il bilancio della vita ed un contesto narrativo, cioè situazioni e personaggi , che sia significativo. Il primo aspetto è ben presente nel libro, contrappuntato dalla dolente levità così propria della napoletanità dell'autore. Quello che rende meno riuscito il tutto sono le occasioni narrative a cui tale sensibilità si applica. (eccessivo lo spazio delle vicende dell’amico Giovanni così pure come troppo già sentiti sono i soliti luoghi della memoria : Capri, Palazzo Donn’Anna evocati ormai in ogni occasione) Ma nel complesso un libro onesto e accorato con molte pagine di commuovente intensità come quelle dedicate al fratello Pelos (un vero mito per noi napoletani) o alla moglie Ilaria Occhini. Da leggere.
La Capria dimostra che intelligenza ed umanità sono sinonimo di sobrietà e modestia.
Recensioni
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Una volta Cesare Garboli si chiese come facesse Raffaele La Capria a trasportare sulla pagina il timbro e il fiato dell'oralità, costruendo frasi che hanno "l'accento delle cose che si dicono per la strada". È una domanda a cui è difficile rispondere, perché nasconde il segreto artistico dell'ultima stagione creativa di La Capria. E un segreto è bene che rimanga tale, che nutra senza farsi vedere, che affiori senza mai venire del tutto in luce.
La voce naturale soffia in ogni frase diL'estro quotidiano, l'ultimo e conseguente approdo di uno scrittore che sempre più si affida all'improvvisazione fulminea e inaspettata. È un libro bellissimo, a tratti commovente, sempre arguto e spiritoso, vibrante di malinconia e di gioia, fatto di incontri, di amicizia e di amore. Tutta la vita scorre davanti agli occhi di un signore di poco più di ottant'anni, che ha imparato a guardarla e a lasciarla andar via senza troppe forzature. Vai, le dice, se vuoi andare, io sto qui, ti aspetto pazientemente.
E la letteratura? E il romanzo? E la finzione che conosce il mondo inventando bugie veritiere? Ci sono, ma come disperse nelle maglie della vita quotidiana, riletta e reinventata sotto la possibilità dell'estro.
In apparenza il libro è un diario del 2003. Guerre lette e viste alla televisione e passeggiate nel centro di Roma, in compagnia dell'amico Furio Sampoli, s'intrecciano. Passato e presente si toccano e a volte fanno scintille. Appaiono i genitori, cercati un giorno al cimitero senza riuscire a trovarli: quel padre e quella madre napoletani, approdati in tarda età dal figlio e da lui accolti nella sua nuova città. Sul letto di morte appare Pelos, il fratello che ha vissuto seguendo sempre la rotta della felicità: occhi negli occhi a dirsi i segreti del passaggio che non si può raccontare e dove le parole si fermano e ammutoliscono.
E c'è la storia di Giovanni Urbani, l'amico del cuore, e del suo amore con Kiki, un vero e proprio romanzo prelevato direttamente dalla realtà e ancora stillante di vita. Una storia, sì, d'amore, ma anche di solitudine, dove s'intravedono le abitudini della borghesia italiana e anche i dolori, subiti in silenzio. La Capria si affida a questa storia come se fosse la sua bussola narrativa, il motore immobile da cui tutto prende forza e forma.
E tutt'attorno si fanno spazio i ritratti precisi e umanissimi di Ernesto Rossi, di Giovanni Papini e di Barna Occhini, quest'ultimo il padre di Ilaria, la moglie sempre amata e sempre ammirata per la sua bellezza. Questi ritratti servono a La Capria per far sentire, ancor prima di capire, come sia successo che nella sua vita gli incontri con persone appartenenti ad aree politiche opposte e contrastanti gli abbiano permesso di capire come le ideologie siano ristrette e quanto poco servano a comprendere la vita intima degli uomini.
Ritratti, sì, ma anche autoritratti, come sempre nello scrivere di La Capria. Scrivere di sé parlando d'altro e di altri e viceversa: scrivere di altri e di altro parlando di sé.
Anche in questo caso non è facile raccontare come sia davvero questo scrittore, e che uomo gli abiti dentro. In genere lo si caratterizza per quel magnifico poema romanzesco che èFerito a morte. Ma, cosa curiosa, pure essendo la sua opera entrata nel pantheon dei "Meridiani" della Mondadori, si tratta di uno scrittore ancora poco conosciuto. Perché? Perché egli stesso, nella sua apparente affabilità, è sfuggente. Eppure, pochi come lui hanno saputo estrarre dalla vita quotidiana le ragioni del cosmo, come ebbe a notare Pier Paolo Pasolini.
Proprio per la sua sfuggente irrequietezza, ci si sorprende quando, inL'estro quotidiano, La Capria fissa un autoritratto che sa quasi di confessione detta in un orecchio al lettore che sappia intendere o sia capace di ascoltare: "No, mai sono stato contento di me, un po' per colpa mia un po' perché fui 'dal nascere in due scisso'". E dentro ebbi sempre per legge inesplicabile della mia natura un deposito torbido nel fondo, una melmetta che non volli rimestare perché se l'avessi appena smossa avrei intorbidato tutta l'acqua che sopra invece si manteneva limpida".
La Capria dice che "quel fondo è ancora lì, scuro e immobile". E aggiunge: "La mia natura mi procurò infelicità insulse e insormontabili sin dall'infanzia, un'immaginazione precoce e morbosa oppresse la mia innocenza, e quanti desideri si distorsero prima che li colmassi!".
Ma come, lo scrittore della "bella giornata" scrive parole simili? Com'è avvenuta la metamorfosi che l'ha portato a essere un adulto solare, capace di abbandonarsi alla bellezza e al godimento della vita quotidiana? "Ho sempre difeso dall'ombra - dice - la mia parte luminosa, quella cui tendevo, non ho permesso all'ombra di invadere ogni cosa, anche se spesso mi accade di sentirmela addosso nei momenti di solitaria desolazione, quando non ho nessuna indulgenza per me e mi considero l'ultimo e il peggiore".
Ma, seguendo il monito di Kafka, tra sé e il mondo La Capria ha finito per assecondare il mondo: "La parte di me che mi si rivoltò contro fu impietosa come un forte vento contrario; ma l'altra, con l'obliqua sua vela seppe sfruttarla al meglio, inclinando pericolosamente la barca mentre di traverso lo stringeva; e più contrario e forte era quel vento più la mia barca acquistava velocità nel rimontarlo. Così tutto nacque dalla scoperta che bastava un'inezia, un nulla, una lieve correzione alla barra del timone, per mutare a mio favore la legge fisica fino a quel momento applicata. Prevalse un'altra legge, più sottile e attiva: quella che permise al navigante di 'risalire il vento'".
Con un'ulteriore e nuova immagine acquea e di movimento, che si affianca e rafforza quelle già usate in passato, La Capria ci racconta le avventure dell'umano e lo fa con questa sua lingua dove il fiato dell'oralità sospinge l'intero edificio della sua opera. Sì, come fa a portare sulla pagina questa oralità inventata di sana pianta, riabilitando quella civile conversazione pubblica che sempre più appare come quasi impossibile?
Silvio Perrella
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