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L'amante di Wittgenstein - David Markson - copertina
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L'amante di Wittgenstein
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L'amante di Wittgenstein - David Markson - copertina

Descrizione


L'amante di Wittgenstein è la storia di una donna di nome Kate convinta di essere l'unica anima viva rimasta al mondo. Si direbbe pazza. Eppure la sua figura è talmente ammaliante, la sua voce così arguta e seducente, che non si può fare a meno di seguirla, ipnotizzati, mentre riversa il bagaglio intellettuale di una vita in una serie di meditazioni irriverenti su qualsiasi cosa. E mentre la ascoltiamo contemplare gli aspetti del tormentato passato che l'ha portata alla situazione presente, il suo dramma diventa uno dei pochi racconti follemente originali del nostro tempo, nonché metafora della solitudine esistenziale e dell'incomunicabilità del reale attraverso il linguaggio. Con un saggio di David Foster Wallace.
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Dettagli

2016
23 giugno 2016
320 p., Brossura
9788867992720

Valutazioni e recensioni

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Recensioni: 4/5
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Martina
Recensioni: 3/5

L’amante di Wittgenstein di David Markson, pubblicato originariamente nel 1988 dopo essere stato rifiutato ben quarantaquattro volte, ci narra la vicenda di una donna che abita in riva al mare – il cui nome è Kate, o forse Elena, ma forse non ci è dato nemmeno sapere quale sia vero e quale no – la quale si lascia andare ad un flusso di coscienza nitido e senza fronzoli, battendo su una macchina da scrivere un giorno sì e due no. Uno dei punti forti del romanzo è la capacità dell’autore di delineare un’eroina così bizzarra, confusa e non convenzionale, al tempo stesso capace di rapire un lettore inizialmente scettico, senza che questo se ne renda conto durante il processo; perché in realtà il passaggio da scetticismo a confusione avviene in un attimo. E così lo stato d’animo della protagonista, Kate, Elena o chicchessia, si riflette nel lettore. Più si prosegue e più ci si rende conto del tentativo dell’autore di disegnare una solitudine ben precisa, il mettere per iscritto il proprio flusso di coscienza è un tentativo di sfuggire a pensieri reali – contrapposti alle divagazioni che sono la reale materia del romanzo e attraverso le quali è possibile avere prova della genialità dell’autore – pensieri di una vita precedente, quando si era soli comunque, diversamente soli, ma pur sempre soli. Ed è al tempo stesso il tentativo di sfuggire a se stessi cercando un significato nelle vite degli altri, nei dettagli spesso dimenticati ovvero omessi.

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furetto60
Recensioni: 4/5

Romanzo che ha cominciato ad essere conosciuto grazie alla favorevole recensione di Foster Wallace. La lettura non è delle più agevoli, nonostante il linguaggio usato sia semplice, ciò a causa della struttura dell’opera che più che circolare definirei a tela di Penelope, cioè si costruisce e si distrugge, si fa un passo avanti e due indietro. Anche il ritmo cantilenante, in cui ogni periodo (che arriva massimo alla quinta riga) è seguito dal punto e a capo, in cui si ripetono nomi e situazioni, un ripetersi nella differenza in una situazione in cui il finale è più incerto dell’inizio (anzi forse il finale non c’è proprio) rende difficile non perdere il filo. Il saggio del citato F.W., in appendice, l’ho compreso si e no per il 50%, in ampi tratti è troppo criptico, con un forte accento snob.

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Voce della critica

Kate è l’unico essere umano rimasto sulla terra, vive in una casa sulla spiaggia e scrive, cercando di ricostruire gli ultimi dieci anni trascorsi a girovagare alla ricerca di altri fuori da sé, fino a quando non s’è arresa. Post-apocalittica Penelope, tesse su carta il suo lungo, delirante memoir, fatto di frasi brevi, aforismi, aneddoti, ricordi, che frantumando senso e coerenza si combinano tra loro per assonanze, slittamenti di significato, ripetizioni.

Trasposizione letteraria di quei nomi-etichette, proposizioni atomiche, giochi linguistici, che costituiscono l’ossatura dell’impianto teorico di Wittgenstein, uno dei massimi filosofi del linguaggio del ’900. Perché Kate non è solo voce narrante, è anche amante di Wittgenstein, amante in tutte le sfumature che l’originale inglese mistress racchiude. È personificazione, e quindi distorsione, dell’universo logico-matematico del Tractatus, incarna, nel concreto farsi del suo discorso, la grammatica interna delle Ricerche filosofiche; li fa propri, e ne è costituita. Wittgenstein è, allora, contemporaneamente, chiave interpretativa, riferimento intertestuale, strumento e modo di quest’ architettura narrativa, nella quale non solo ciascun piano (allegorico, metaforico, simbolico, biografico) interseca gli altri, ma tutti si rispecchiano, moltiplicano e giustificano a vicenda.

Che si tratti di Rembrandt, Vivaldi, l’etica, le sabbie mobili del linguaggio, la frammentarietà della memoria, un gatto o uno specchio, ogni singolo elemento dell’uno diventa punto di partenza per ricostruire corrispondenze e significati diversi sull’altro. Che lo si legga come metafora della disperata odissea alla ricerca d’identità dell’individuo che ha perso la visione delle connessioni col mondo e con l’altro; o come allegoria della follia autoreferenziale di un intero universo culturale; che si rintraccino nei simboli della storia, dell’arte, della letteratura, della filosofia, di cui è disseminato, altre, potenzialmente infinite, mappe di significati, questo “strano, cerebrale roman á clef”(come lo definisce David Foster Wallace nello splendido saggio che fa da postfazione al testo), ha una potenza profetica che a trent’anni dalla prima pubblicazione americana, non è solo confermata, ma spaventosamente amplificata. Ha la capacità “di ricordarci le illimitate possibilità che ha la letteratura di ampliare la propria portata e far presa, di far battere le teste come cuori”. E forse, persino, decontestualizzando le parole di Wittgenstein, di assolvere al compito essenzialmente etico di far “vedere le cose rettamente, cambiando in modo sostanziale l’aspetto sotto cui il mondo ci appare”.

Vittoria Rosati Tarulli

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