"Le dita non sono più dita, sembrano organi tattili che si trasformano in piccoli cervelli d'azione, si muovono lentamente e lambiscono, si contraggono a grinfie, si aduncono ad artigli, si stendono come ventose". Con questa espressionistica istantanea in prosa di una quasi avvenuta fusione tra uomo e parete Severino Casara, a un tempo prezioso compagno di cordata e preciso cronista, fissa il formidabile superamento da parte di Emilio Comici della "glabella sporgente" di quella "fronte corrucciata" della inviolata parete Nord del Campanile Italo Balbo, la cui conquista (28-29 agosto 1940) fu l'ultimo exploit alpinistico del rocciatore triestino prima della sua prematura scomparsa. Visionario, immaginifico, avanguardista Comici non lo è soltanto nella ricerca delle linee di salita, nello sviluppo creativo delle già innovative tecniche elaborate da P. Preuss e da H. Dulfer, nella perenne ricerca di stratagemmi motori di rara eleganza, ma pure nei suoi récit d'ascension, nelle descrizioni delle infinite sfaccettature e increspature delle pareti che, dal suo particolarissimo punto di vista, cessano di essere semplice materia inorganica, inanimata assumendo i caratteri propri di una creatura viva in tutto simile a giganti d'umane sembianze. Ed ecco quindi come l'ostica sporgenza del tetto (da loro chiamato "soffitto" dimostrando una precisione semantica di grana più fine della nostra) del campanile Italo Balbo si tramuta nella quasi deforme glabella (vale a dire il punto di convergenza delle arcate sopracciliari) di una fronte solcata da profonde quanto antiche rughe d'espressione. E la cifra dell'eroismo di uomini come Comici, Dulfer, Gervasutti, Lammer, Maraini, Piaz, Preuss, Zapparoli, al di là della mera, quanto strumentale, retorica circa la loro titanica e vittoriosa lotta coi colossi di pietra in cui sono stati effigiati da regimi e esegeti, risiede proprio nella loro capacità di trasfigurare, umanizzandola, la sfiancante, snervante, a tratti folle fatica dell'ascensione. Capita a volte che la conquista della cima, come per gli antichi cavalieri il compimento dell'impresa, toccandola nel profondo raggeli l'anima dell'eroe via la lucida visione della vanità del risultato. Dall'eroe all'antieroe c'è dunque solo un appiglio. In ogni caso, come suggerisce sempre Casara, Emilio Comici "come Paul Preuss era un Cavaliere della Montagna". Di questa ristampa anastatica dell'edizione del 1942, che raccoglie certo gli scritti di Comici (récit d'ascension, scritti d'occasione e saggi programmatici purtroppo incompiuti) ma anche contributi e ricordi di amici e colleghi testimonianti la sua poliedrica attività non solo legata al mondo delle montagna, l'appassionato di letteratura alpina sentiva veramente il bisogno, anzi la necessità, data l'ormai difficilissima reperibilità (e di conseguenza il costo proibitivo) dell'edizione originale. Questa iniziativa editoriale, dunque, lungi dall'essere una mera ristampa curata dal comitato nazionale del C.A.I. in occasione delle onoranze funebri dell'autore (con una prefazione di Angelo Manaresi e schizzi originali sulla tecnica di arrampicamento)rappresenta, invece, un atto di riflessione storico-culturale su un mondo ancora in grado di entusiasmarci e stupirci come testimoniano pure i due agili, ma densi, saggi di Spiro Dalla Porta-Xydias e di Marco Albino Ferrrari, valida guida a una rilettura ragionata del volume. Fabio Minocchio
Leggi di più
Leggi di meno