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Alle origini del pensiero psicoanalitico. Una riflessione epistemologica sui fondamenti della psicoanalisi
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1992
1 gennaio 1992
240 p.
9788826309378

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Q.Z
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Disposizioni individuali e istituzioni sociali

Conoscere le origini di una qualsiasi disciplina scientifica, e non, aiuta a comprenderne meglio le sue caratteristiche, la sua evoluzione, i suoi obiettivi. Nel corso dei secoli sono sempre state attuate delle riflessioni psico-sociali volte ad affermare che sono le disposizioni individuali che producono le istituzioni sociali. Si tenta, così, di fare derivare l'organizzazione sociale dalla natura umana. Teoria che ha ispirato la "psicologia della folla" di Le Bon-Durkheim, che all'inizio era una chiara opposizione della psicologizzazione della sociologia. Oggi bisogna dire, che tale assunto sia caduto in disuso. Tuttavia, la si può ritrovare nell'opera di Kardiner, il quale sostiene che "le istituzioni secondarie sarebbero prodotte dalla struttura fondamentale della personalità". L'idea centrale di questa teoria era presente già in Platone, che nella Repubblica spiega con rapporti di causa-effetto il parallelismo esistente fra individuo e società. Quindi, se ne deduce che le condizioni sociali influiscono sugli individui. Hobbes si oppose a Platone e ad Aristotele in quanto sosteneva che la società non derivi direttamente dalla natura umana poiché essendo tutti gli uomini uguali per natura, non possono riunirsi perché lo stato naturale è la guerra di tutti contro tutti. Rousseau, invece, in sintesi espose come la società dando luogo ad una intensa vita razionale abbia trasformato prima, e formato poi, la personalità umana. La psicologia degli uomini cambia a seconda dello stato sociale poiché: "il genere umano di un'età non è il genere umano di un'altra età".

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recensione di Mancia, M., L'Indice 1993, n. 6

Longhin inizia questo suo lavoro con una domanda di grande attualità: qual è lo statuto scientifico della psicoanalisi e quale la sua posizione nell'epistemologia contemporanea? È accettabile la posizione di Meltzer e di Bion che pongono questa disciplina nel campo dell'estetica ma la sottraggono a quello dell'esperienza scientifica? L'ipotesi di Longhin è che "la psicoanalisi sia una disciplina che rivela la sua specificità nel contenere sia il modello scientifico che quello artistico". Esistono infatti per questo autore analogie tra la creatività dell'artista e il momento della costruzione o ricostruzione e dell'interpretazione nel corso del processo analitico. Ciò permette di vedere la psicoanalisi come una combinazione 'sui generis' di arte e di scienza.
Ma-possiamo chiederci-dove nasce l'ostacolo epistemologico della psicoanalisi? Per il vero, già Freud aveva posto il problema: se la psicoanalisi è una esperienza affettiva, questa, in quanto soggettiva, non può partecipare alla conoscenza scientifica che per definizione è oggettiva. Dobbiamo allora tentare un approccio epistemico diverso e chiederci se la psicoanalisi sia in grado di operare in modo oggettivo e verificabile e se possa proporre un suo modello operativo.
Longhin sostiene che "ogni esperienza in campo psicoanalitico, come del resto in ogni disciplina scientifica ... può essere accolta solo in quadri concettuali che si affineranno e si correggeranno in un movimento di va e vieni con l'esperienza". Si tratta allora di riconoscere i fondamenti e le caratteristiche di oggettività di questa esperienza. È così possibile anche per la stessa psicoanalisi giungere a una conoscenza oggettiva e falsificabile poiché è "proprio l'epistemologia a ricordarci che è reale tutto ciò che si contrappone al nulla". Al modello proposto dall'epistemologia neopositivista che indaga nelle scienze fisico-matematiche sfugge la possibilità di conoscere altri aspetti della realtà più complessa, come ad esempio la realtà mentale inconscia. E l'impostazione epistemologica più attuale guarda con diffidenza l'idea che si fa scienza solo con i concetti di quantità e di misura. Al contrario possiamo oggi affermare che 'ogni realtà' è indagabile con metodi adeguati. E se è reale tutto ciò che si contrappone al nulla, si può considerare tale anche quella realtà che non è di tipo materiale o concreto, come ad esempio un sogno, una fantasia o un angoscia.
A questo punto si tratta di vedere se la psicoanalisi può vantare delle basi scientifiche su cui fondare il suo sapere: 'il referente', cioè ciò di cui si parla; i 'predicati operativi', ciò attraverso cui si conosce; i 'predicati fondamentali', che rappresentano l'oggetto della conoscenza. Ora il referente specifico della psicoanalisi è la realtà della mente inconscia, così come l'ha postulata Freud quale istanza non controllabile empiricamente in modo diretto. In questi cento anni, questa realtà ha raggiunto un notevole grado di complessità, tale da farci proporre numerosi modelli di funzionamento mentale. I predicati operativi costituiscono il luogo dove l'incontro è possibile e dove "si indaga ciò che quell'uomo è o non è attraverso la riattivazione transferale della sua storia fantasmatica". Il transfert, il controtransfert, le costruzioni, le ricostruzioni, le interpretazioni, sono tutti elementi operativi con cui funziona il grande microscopio della mente che è la psicoanalisi. Indubbiamente nel campo di indagine operano molte variabili e vi avvengono operazioni affettive tra due soggetti in uno stato di relativa asimmetria. Il compito dell'epistemologia psicoanalitica resta comunque quello di "indagare sul significato, sulla natura, sui limiti, sui fondamenti di tali operazioni", sottolineando in particolare l'importanza dell''intesa intersoggettiva' per giungere a una 'conoscenza oggettiva' verificabile e quindi falsificabile. Un esempio di questa operazione è l''interpretazione' intesa come un'ipotesi di lavoro che la coppia analitica fa e che può confermare o confutare.
Il risultato del lavoro analitico è quello di conoscere i predicati fondamentali, cioè modi di essere della mente inconscia: fantasie inconsce, simbolismo onirico, operazioni difensive come la scissione e l'identificazione proiettiva, particolari comportamenti
Il tema più difficile, quello della verificabilità, viene affrontato da Longhin attraverso la valorizzazione della 'supervisione', intesa come un'esperienza che permette a un analista esperto di predicati operativi usati da un altro analista, sempre nell'ambito di uno stesso paradigma, di controllare il lavoro di quest'ultimo attraverso la lettura di sedute e il rendiconto degli incontri analitici. Per questo autore, la supervisione clinica e una condizione necessaria e sufficiente per raggiungere un'intesa intersoggettiva tra esperti di un determinato paradigma e quindi per creare un consenso che costituisce lo statuto scientifico della psicoanalisi.
Emerge dall'indagine epistemologica di Longhin un pensiero ben strutturato e ricco, in grado a mio avviso di confutare critiche che anche recentemente sono state mosse alla psicoanalisi. Ad esempio quelle di Grunbaum per il quale la psicoanalisi non soddisfa i criteri di falsificabilità e manca il valore probativo. A parte la scarsa conoscenza che Grùnbaum mostra di possedere della psicoanalisi e dei suoi fondamenti attuali, il lavoro di Longhin rappresenta tra l'altro una risposta precisa alle sue critiche in quanto sostiene con validi argomenti le ragioni scientifiche dell'operare psicoanalitico.

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