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Uno dei filoni di maggior successo della letteratura occidentale è quello dell'agiografia, termine con cui abitualmente si intende l'insieme delle forme letterarie che trasmettono la memoria dei santi e il loro culto. Il lettore in un primo momento rimarrà stupito dell'affermazione, poi, pensandoci meglio, ricorderà di aver letto o di aver ascoltato almeno una volta il racconto della vita di un santo: forse qualcosa su personaggi contemporanei, come Madre Teresa di Calcutta, Padre Pio da Pietrelcina o, per le meno giovani, Maria Goretti. Ebbene, fonti di questo tipo, che sembrano destinate solo ai devoti, per il fatto di attraversare duemila anni di storia rappresentano un campo d'indagine ricchissimo per lo storico, il quale è per natura onnivoro, come ben disse un grandissimo del mestiere, Marc Bloch. E non solo per lo storico: per il filologo, l'antropologo, lo storico delle religioni, il sociologo. Se lette con i metodi raffinati delle scienze umane, contribuiscono in modo determinante a meglio comprendere i percorsi della nostra civiltà, i suoi ideali, le trasformazioni della mentalità e i bisogni cui di volta in volta la devozione al santo risponde. In quest'ambito, la letteratura agiografica dei primi secoli del cristianesimo ha un'importanza particolare perché si riferisce a un'epoca in cui gli scrittori cristiani manifestano massima creatività, e la sua investigazione colma, almeno in parte, le lacune delle altre fonti. Si pensi agli aspetti meno noti della vita quotidiana delle classi popolari nell'Italia impoverita del VI secolo che i racconti dei miracoli di san Benedetto, narrati da papa Gregorio Magno, ci fanno conoscere.
Gli studi agiografici in Italia (ricordo qui solo il nome di un'antesignana: Sofia Boesch Gajano) e all'estero conoscono attualmente una straordinaria fioritura, con una messe di ottimi risultati. Tanto più notevole appare l'impresa di Adele Monaci Castagno, il cui volume segna un punto di svolta ed è destinato a lasciare un segno duraturo, per due motivi. Innanzitutto la studiosa si cimenta per prima, con coraggio, in un lavoro di sintesi, condotto su un arco temporale lungo, dal I al VI secolo (l'unico precedente può essere ravvisato nel Manuale di agiologia di Réginald Grégoire, edito nel 1987, che però ha avuto una circolazione specialistica). Dai Vangeli, che presentano Gesù di Nazareth, il modello per eccellenza di ogni santità, alle sante regine merovinge siamo trascinati in un percorso affascinante, nel quale è messa puntualmente in evidenza la connessione tra mutamenti storici e trasformazioni dei temi letterari.
Scopriamo allora, per esempio, il motivo per cui nel IV secolo Eusebio di Cesarea, inventore della storia ecclesiastica ma anche agiografo dei martiri della persecuzione di Diocleziano, non si sofferma sui miracoli e invece pochi decenni dopo proprio su questi insiste Atanasio di Alessandria, autore di quell'autentico best seller che fu la Vita di Antonio: Eusebio, agli occhi dell'intellettualità ellenica, doveva differenziare la divinità di Gesù Cristo e la santità dei cristiani dalla taumaturgia degli "uomini divini" pagani di cui Apollonio di Tiana rappresentava il prototipo. Atanasio, nella lotta interna contro gli ariani, accusati di minimizzare la divinità di Cristo, era obbligato, al contrario, a valorizzare i miracoli dei seguaci, nei quali Cristo opera con la potenza propria di un dio. Il secondo e altrettanto rilevante motivo di apprezzamento dell'opera di Monaci Castagno consiste nell'innovativa selezione del materiale cui corrisponde un altrettanto innovativo metodo di analisi: attraversando i diversi generi letterari che compongono la letteratura agiografica e disarticolando le classificazioni rigide di ciò che può essere considerato pertinente all'agiografia, l'autrice investiga la costruzione di un linguaggio comune, inteso come "l'insieme delle strategie retoriche e delle forme letterarie che tramandano la memoria di ciò che uomini e donne, ritenuti incarnare un ideale di perfezione, hanno compiuto durante la loro vita e anche dopo la morte".
In altri termini, l'agiografia viene presentata come la narrazione che i cristiani fanno di se stessi, cercando la rassicurazione circa la possibilità di attingere la perfezione del proprio ideale e di dimostrare "all'altro" la propria superiorità di vita. Su questa strada il confronto con i pagani e gli ebrei è costante e sempre permeabili appaiono i confini dei rispettivi discorsi "agiografici", giacché non dissimili quanto a ricerca della perfetta virtù erano le aspirazioni dei diversi interlocutori. Aver offerto la possibilità di cogliere la complessità di questo intreccio è merito non ultimo di questo bel libro.
Emanuela Prinzivalli
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