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SEI
1987
1 febbraio 1987
388 p.
9788805039227

Voce della critica


Fabbrica di l libro (rubrica) Triulzi, A., L'Indice 1987, n.10

Con l'aggiunta di questo nuovo titolo alla sua collana "La Nuova Africa", la Società Editrice Internazionale di Torino compie una doppia operazione, a mio avviso intelligente. Da un lato riequilibra la collana sul versante storico, abbinando alla già apparsa "Storia dell'Africa" di John Fage - un'opera tanto carente per il periodo contemporaneo quanto preziosa per quello precoloniale - questo volume di sintesi di storia contemporanea scritto con grande passione da Basil Davidson, africanista e massimo divulgatore di storia africana nel mondo anglosassone. Dall'altro prosegue, con questo sesto titolo, nella creazione di una collana editoriale tutta dedicata all'Africa e alle sue problematiche storico-culturali, il che non è poco se si considera che è l'unica collana del genere esistente in Italia.
Dobbiamo dunque essere grati all'editore e a Giuseppe Morsini per aver voluto dare inizio e mezzi a questa iniziativa di cui da tempo si sentiva il bisogno specie nel settore storico, il più rappresentato nell'africanistica italiana del dopoguerra. Per anni infatti i pochi cultori - allora per lo più professori incaricati e qualche isolato ordinario - di discipline africanistiche presso le università italiane hanno adottato, oltre ai propri testi monografici quando esistevano, l'unico testo di carattere generale disponibile, l'ottima ma limitata "Breve Storia dell'Africa" di R. Oliver e J. Fage (Einaudi, ed. orig. 1965), un libro che era chiara espressione dei primi anni della decolonizzazione e delle sue certezze ideologiche e storiografiche. Accanto a questo testo base, che ha subito negli anni più di una ristampa ma, almeno nell'edizione italiana, non altrettante revisioni, si sono alternati pochi altri testi di carattere generale (dall'ambiziosa "Storia dell'Africa nera" di Ki-Zerbo alla più selettiva e problematica "Africa nera dal 1800 ai nostri giorni" di Catherine Coquéry-Vidrovitch fino ai volumi collettanei quali il vol. IV de "Il Mondo Contemporaneo" o il più recente "Africa come storia" curato da Annamaria Gentili), nessuno capace in realtà di soddisfare pienamente i crescenti bisogni di informazione e di conoscenze aggiornate su un continente in continuo movimento.
Poter disporre oggi di una collana africanistica aggiornata riempie dunque un vuoto storiografico reale e riflette, ci si augura, una maggiore e più matura consapevolezza del mondo editoriale italiano e del suo pubblico di lettori nei confronti della storia e delle culture extraeuropee in generale e dell'Africa in particolare.
Proprio per tutti questi motivi mi sembra che l'operazione storiografica intrapresa poteva e doveva tradursi in un libro meno sciatto e così poco curato come "L'Af:rica nel mondo contemporaneo" di Basil Davidson. Perché tradurre infatti "founding charter" con "statuto fondamentale" (p. 32) e non "di fondazione", oppure "cowrie" con "cipride", invece del più noto "cauri", così da trovare (a p. 52) una misteriosissima "zona delle cipridi" che parrebbe locazione geografica mentre è area monetaria. O, infine, quell'ostinato rendere "colonial enclosure" con quel termine "recinzione", sia pure virgolettato, (p. 50 e passim) che è termine assodato per l'Inghilterra preindustriale ma non può certo essere applicato ai fenomeni di inglobamenti e annessioni coloniali della fine del diciannovesimo secolo (che senso ha dire "Tutta la parte settentrionale della Nigeria era stata 'recintata' dai suoi funzionari inglesi" (p. 210), o che "le popolazioni nere 'recintate' diedero scarsi segni di capire (sfido io) che cosa stava accadendo nei territori portoghesi", p. 321?).
I refusi di stampa sono inoltre tali e di tale pervicace ripetitività da chiedersi se qualcuno si è data la briga di correggere le seconde bozze (es. pp. 35, 42, 127, 163, 183, 265, ecc.) e, se l'ha fatto, come ha potuto accettare che la "speranza messianica" di p. 163 si sia trasformata in "messiacana", o che la "dispossession of African land" dell'originale si sia tramutata in una straordinaria "esportazione ('asportazione'? 'espropriazione'?) di terre africane" a p. 104. Così il testo rimane spesso confuso, enigmatico, quando non apertamente stravolto, mentre l'originale è scrittura chiara, incisiva, a tinte forti, appassionata.
Così appassionata in realtà da riflettere, e talvolta esasperare, i miti, le speranze e le grandi sicurezze, politiche e storiografiche, della metà degli anni Settanta, quando il libro è stato scritto. Era questo un periodo in cui le ex-colonie portoghesi si erano da poco liberate, dopo una lunga guerra di liberazione, dalla sudditanza coloniale, quando Soweto pareva aprire un'ultima breccia nella ormai assediata cittadella sudafricana, le esperienze della Somalia e della Tanzania parevano colmare alcuni degli squilibri tradizionali degli stati africani neo-indipendenti, e la feudale Etiopia si era appena affacciata alla grande ribalta dei regimi 'rivoluzionari'. Grande appare la fiducia di Davidson verso la "politica di liberazione" in voga in quegli anni e verso quel "socialismo scientifico" che sembrava avere assunto (nel 1976) "contenuto e forma indigeni" e dunque "radici indipendenti" e non supino consenso a "un altro modello importato" (p.339).
Parimenti grande la sua speranza che il "nazionalismo rivoluzionario" della metà degli anni Settanta avesse "virtù proprie" capaci di imporre la priorità della questione sociale su quella nazionale, i diritti delle maggioranze su quelli delle minoranze, il bene comune della nazione sugli interessi particolari delle nazionalità. Da questo punto di vista "L'Africa nel mondo contemporaneo" è un vero e proprio libro di fede.
Riletto oggi, con gli occhi più sospettosi e smaliziati di un presente che non concede molto spazio alle certezze di ieri, il libro di Davidson non può non apparire che quello che è: un prodotto tipico, vorrei dire genuino, degli anni Settanta. Nel bene e nel male. Nel bene, perché la straordinaria capacità di sintesi dell'autore, unita alla sua profonda, e vissuta, conoscenza dall'interno della storia recente del continente africano, fanno di questo testo un indispensabile strumento di lettura 'partecipante' degli avvenimenti africani dell'ultimo secolo. Nel male, perché è e resta un libro datato, che può ingenerare ulteriori confusioni e sfasamenti di prospettive in un pubblico universitario e non, sostanzialmente digiuno di conoscenze approfondite in questo campo. Non aver inserito nell'edizione italiana alcuna forma di aggiornamento (sia esso appendice, supplemento o cronologia degli ultimi dieci anni), e quindi di collegamento con il presente, appiattisce il testo italiano e il senso stesso di una collana, formalmente dedicata alla "Nuova Africa" e alle sue problematiche attuali.

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