Nonostante le sfortune critiche, l'Adone di Giovan Battista Marino, un indubbio capolavoro della nostra letteratura, è stato costantemente presente nel mercato editoriale, almeno dall'età risorgimentale a oggi, raggiungendo con l'edizione commentata da Giovanni Pozzi (Mondadori, 1976) uno dei livelli più alti nella proposta dei testi antichi. Non sembrava possibile superare questa edizione, ricchissima nel commento, avvalorata da un'importante lettura introduttiva. L'Adone che ci viene proposto ora dalla Rizzoli a cura di Emilio Russo, autore anche di un'aggiornata e utilissima monografia su Marino (Salerno, 2008), riesce a fare un passo ulteriore, soprattutto nel rendere fruibile un testo non difficile, ma certo complesso e ricchissimo. Quello che di primo acchito viene spesso messo in rilievo dell'Adone è la sua lunghezza, la continua creazione di nuove situazioni che prolungano, dilatano, dilazionano una trama già fissata dal mito, quindi senza suspense. L'edizione della Rizzoli è tuttavia un felice invito alla lettura. Il testo è integrale (vi sono anche le allegorie e l'introduzione di Chapelain), però con una bella impaginazione e con un ricco ma essenziale commento in fondo alle pagine (il commento di Pozzi era in un volume a parte, l'edizione di Pieri, pur avvalendosi di pregevolissime pagine introduttive, non ha commento) e la lettura è resa estremamente piacevole, facilitata anche dalle snelle analisi critiche a inizio di ogni canto. Il lettore che scorre le fluide ottave mariniane, se vuole un approfondimento o cerca un'interpretazione o la verifica di un'intertestualità, deve solo spostare l'occhio al fondo della pagina e trova rapidamente soddisfazione alle sue domande, senza quasi dover sostare nel godimento del testo. L'attuale edizione tiene conto dei commenti e delle interpretazioni precedenti, quelle di Pozzi in primis, ma con essi dialoga in modo fruttuoso, con la forza anche delle recenti scoperte d'archivio che proprio Emilio Russo e l'attivissima Clizia Carminati hanno messo a segno. Il curatore oltretutto si avvale, per i suoi precedenti studi, di una perfetta conoscenza delle opere di Tasso, il poeta con il quale Marino dialoga e compete in tutto il poema, per cui riesce a evidenziare moltissimi debiti che l'Adone ha con i versi tassiani, della Liberata, del Mondo creato, delle Rime. Ma che cosa può trovare il lettore moderno nella lettura di questo poema che distende per più di cinquemila ottave una trama che si può risolvere in poche righe (neppure duecento i versi di Ovidio dedicati agli amori di Venere e Adone, assai meno quelli di Nonno di Panopoli, autori da cui Marino dipende)? Molto davvero: anzitutto l'Adone si presenta oltre che come il poema dell'eros ("viva amor che 'n cielo e 'n terra / de la pace trionfa e de la guerra", Adone 2, 159), come una meditazione sulla morte. Solo apparentemente è il poema degli amori della dea della bellezza con il più bel giovane dei miti, perché l'attesa dell'evento che cancellerà la vita di Adone è una minaccia costantemente discussa, chiacchierata, allontanata, ma inevitabile, come è la nostra. È stato a lungo discusso che cosa sia, come genere letterario, l'Adone. Alle contestazioni dei contemporanei di Marino che non lo volevano considerare poema epico, il poeta scriveva che è poema "divino, perché parla de i dei", inferendo che è mitologico, ma anche che è superiore all'epica. Recentemente è stato definito da Guglielminetti un tentativo di "romanzo" (e il romanzo è genere del Seicento). Cherchi invece ha sottolineato che l'epica c'è, e si sviluppa nell'ultimo canto dove si lascia il mito per la storia. Validissime ambedue le letture, ma ci pare che l'Adone si presenti come il poema di tutti i poemi, una voluta summa di tutte le narrazioni. Un po' come il contemporaneo e conterraneo di Marino, Giambattista Basile, scrive Lo cunto de li cunti (che è titolo tutt'altro che banale, avendo ascendenza biblica: Cantico dei cantici), così Marino crea il poema dei poemi. Nell'Adone vi sono aggregate tutte le forme narrative: la fiaba, i miti, la novella, vi è la satira, il poema cavalleresco, l'eroicomico, l'epico, l'autobiografia, l'orazione, la favola, la lettera, e vi è il teatro, la lirica, il canto, il tragico e il comico, e, si sa, vi è l'anatomia e l'astrologia (l'elogio a Galileo), la storia e la geografia, la contemporaneità politica e religiosa. La contemplazione delle inesorabili leggi che governano il mondo con eterna vitalità è l'anima del poema, come si vede nella dea della bellezza che mai invecchia o smette di pensare alla vita, che dalla fecondità e dall'amore rinasce. Ma le leggi naturali e Venere lasciano da parte il singolo essere umano, fragile, caduco, mortale, di cui qui il bel giovane è l'emblema. Adone morto è stato da alcuni critici comparato a Cristo, ed è vero che Marino lo rappresenta come il Cristo deposto, richiamando persino le pitture sul tema. Anche se è difficile far combaciare del tutto Adone con Cristo, è evidente che Marino, proponendoci il giovane come l'Ecce homo, porta nel poema anche l'Incarnazione, il pensiero del Dio fatto uomo che muore, mentre l'eterno, e persino il creato, restano perenni. Erminia Ardissino
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