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Vasta e aggiornata ricerca - l'originale e' stato edito nel 2004 - sulla vita e le opere di Adolf Eichmann, col capitolo del processo che copre un quinto delle pagine. Il viaggio di un uomo comune, ne' migliore ne' peggiore di tanti altri, che viene trasformato in uno strumento per la distruzione di altri esseri umani. In fondo e' l'assunto che spiega perche' la Germania, uno dei paesi piu' progrediti del mondo da un punto di vista culturale ed economico, abbia potuto far propria fino allo stremo una ideologia di morte, come il nazismo. Bel problema ancora dibattuto dagli studiosi e al quale l'Autore da' il suo contributo. Comunque proprio la parte sul processo, cosi' dilatata, rimane non agevole da leggere e non consente di assegnare al lavoro il punteggio massimo. Ottima e amplissima la bibliografia.
Recensioni
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Sulla base di documenti inediti e dei più recenti approcci storiografici, questa biografia la prima dopo gli anni sessanta ricostruisce la figura di Eichmann contestando le tradizionali interpretazioni psicopatologiche relative alla sua infanzia, al suo antisemitismo, alla sua adesione al nazismo e, più in generale, mettendo in dubbio la rappresentazione caricaturale, oscillante tra il mostruoso e il banale, tracciata nel processo del 1961 e nei testi di Hannah Arendt. Richiamandosi alle ricerche di Christopher Browning, Götz Aly e Suzanne Heim, il testo ripercorre perciò l'itinerario di Eichmann all'interno delle SS e colloca la sua attività nel contesto dell'erratica e per nulla scontata evoluzione della "politica ebraica" del Terzo Reich. In altre parole, anziché dare per scontato che egli fosse predestinato a diventare il più noto "killer da scrivania" del XX secolo, l'autore segue la carriera di Eichmann da organizzatore dell'emigrazione ebraica negli anni trenta a efficiente responsabile del genocidio paneuropeo dal 1942 in poi. Tappe fondamentali di questo processo di progressivo "apprendimento" furono prima la politica di migrazione coatta nella Polonia occidentale nel 1939-40, ordinata da Hitler al fine di favorire l'insediamento dei coloni tedeschi, e poi lo sterminio perpetrato, a partire dal 1944, nei confronti degli ebrei ungheresi. Nel complesso, tuttavia, il proposito dell'autore di superare le tesi di Arendt sulla banalità del male e quelle di Stanley Milgram sulla naturale propensione all'obbedienza riesce solo in parte. Infatti, l'autore, in conclusione, non fa che restituire Eichmann alla propria normalità: fu un uomo del Novecento come tanti altri, che fuse il linguaggio della guerra con i miti dell'eugenetica razziale e dell'efficienza burocratica.
Federico Trocini
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