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Abbiamo rovinato l'Italia? Perché non si può fare a meno del sindacato. Ediz. ampliata
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Abbiamo rovinato l'Italia? Perché non si può fare a meno del sindacato. Ediz. ampliata - Marco Bentivogli - copertina
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Abbiamo rovinato l'Italia? Perché non si può fare a meno del sindacato

Descrizione


Il lavoro sta cambiando. I mutamenti della geografia del lavoro a livello mondiale e le trasformazioni del sistema produttivo che la quarta rivoluzione industriale porterà richiedono un sindacato in grado di cambiare e di avere "nostalgia del futuro". Svolgendo una critica sincera dei limiti del sindacato odierno e rivendicando le scelte compiute dalla sua organizzazione nelle difficili vertenze affrontate nel corso della crisi, il segretario dei metalmeccanici della Cisl propone la propria idea di un sindacato come "luogo pubblico delle aspirazioni dei giovani" e di tutte le generazioni. Un luogo aperto, orientato alla partecipazione, pragmatico, lontano dagli estremismi, in grado eli anticipare - grazie allo studio, a un impegno costante e a una visione del futuro - le evoluzioni della realtà. Il sindacato ha senso se rappresenta qualcuno, se ha un progetto di cambiamento. Se fino ad oggi ciò è avvenuto, pur con dei limiti, bisogna chiedersi come il sindacato sarà in grado anche in futuro di svolgere questo ruolo di rappresentanza. Di sicuro i lavoratori, se stanno insieme, sono più forti e, quindi, più liberi.
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Dettagli

RX
2017
22 giugno 2017
257 p., Brossura
9788832820300
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Indice

Uno stralcio dall'intervista di Nando Santonastaso su Il Mattino:

Ha ragione il presidente di Confindustria, Boccia, quando dice che in Italia c'è un clima, quasi una cultura anti-industria?
Ha ragione, Boccia. Il nostro è l'ottavo paese industriale del mondo ma con una fortissima cultura anti-industriale. Basti pensare che per Ilva nell'affrontare la delicatissima partita della cessione si è ragionato non su un livello di emissioni adeguato ma sul tonnellaggio delle produzioni. È un modo molto vecchio di affrontare la questione. È anche la conferma che la cultura anti-industriale esiste: ma si dimentica che senza un'industria forte e competitiva sull'export, il livello di disoccupazione di questo Paese sarebbe ancora più alto.
Restiamo al Sud: cosa vuol dire perdere o dismettere realtà industriali al di là del peso sempre decisivo sul piano occupazionale?
Quando l'industria arretra, avanza la criminalità organizzata. È vero che le aziende non devono produrre inquinamento ma ci sarà un'alternativa a passare dal piombo delle ciminiere a quello della malavita?[...]

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Cristiano
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Credo che il merito maggiore del libro sia un'esortazione a leggere i fenomeni economici sforzandosi di liberarsi dei pregiudizi e delle narrazioni di comodo che tranquillizzano la coscienza di tanti borghesi progressisti. Il cambiamento del paradigma tecnologico, organizzativo e dei rapporti di produzione ha imposto un ripensamento del ruolo del sindacato e delle modalità del suo intervento a difesa dei lavoratori. L'autore dimostra, con i dati di fatto, come alcuni sindacati si siano sforzati in quest'operazione critica, mentre altri si siano adagiati su vecchie certezze. I fatti (ad esempio la vicenda Fiat Chrysler), malgrado lo sguardo e il racconto spesso superficiali degli stessi media, stanno lì a dimostrare che solo se il sindacato, a qualsiasi livello, si mette continuamente in discussione, può svolgere al meglio la sua nobile missione nel ventunesimo secolo. Da qui lo sgretolamento di alcune "certezze": non sempre "uniti si vince" (l'unità sindacale a volte, come nel rinnovo del contratto dei metalmeccanici del 1996, ha generato esiti insoddisfacenti), non sempre il progresso tecnico ha significato distruzione di posti di lavoro (nell'industria ha recentemente favorito il back reshoring degli stabilimenti esternalizzati). E le richieste del sindacato in sede di rinnovo del contratto potrebbe orientarsi anche a favorire l'evoluzione dell'azienda verso una maggiore competitività (?): "Non possiamo ignorare i problemi, come se riguardassero esclusivamente qualcun altro e sollevarli solo quando la crisi è irreparabile". Il messaggio, se si vuole, si può estendere anche a tutti coloro che, magari illudendosi di avere un minimo di consapevolezza e sensibilità sociale, cercano di agire coerentemente con i propri principi: i fatti vanno studiati e analizzati nella loro complessità e le categorie critiche vanno aggiornate a una realtà in continua evoluzione. Solo con questi prerequisiti si può tentare di essere cittadini consapevoli.

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