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Sono trascorsi pochi anni dalla morte di Lenin e al potere è salito Stalin. Raffaele Calzini viene inviato a Mosca e a Leningrado dal Corriere della Sera e racconta ciò che vede.
«Tre di notte; alba: non sole, chiarore diffuso: cielo latteo; silenzio. Insonnia. Mi hanno arrestato alla frontiera russo-polacca per un’inverosimile irregolarità del “visto” sul passaporto: mi hanno tradotto (poco invidiabile traduzione) a Minsk capitale della Russia bianca, confinato in un gastinitsa (albergo) intersovietico, e rilasciato dopo ventiquattro ore. Intanto ho potuto conoscere molte cose: i soldati, gli uffici e le scuse della G.P.U.; i ferrovieri e i doganieri di Njegoreloje la stazione di confine che possiede un ristorante dentro un carrozzone ferroviario; in Minsk le cornacchie, le donne, le più antiche carrozzelle guidate dai più vecchi isvoscik del defunto Impero, gli ebrei nel loro quartiere che ha strade pavimentate di legno; poi i perfettissimi e regolarissimi treni della Nuova Russia che fischiano col più lugubre rantolo del mondo. Tre di notte; alba. Foreste infinite, villaggi che hanno il colore dei tronchi e lo stesso profumo di resina: voli di uccelli palustri su dalle steppe e dalle acque livide e nevose attorno alla Beresina tragica, voli di giornali rivoluzionari, sui marciapiedi delle stazioni, stormi di manifesti rivoluzionari, di bandiere rosse... La situazione economica è difficile, l’inverno minaccioso, il rialzo dei prezzi costante. I commissari del popolo riuniti a convegno in una aula del Kremlino non sanno che cosa decidere. Allora uno di essi, un ebreo, di quelli che hanno trovato comodo e prudente di mutare il loro nome, ma non hanno potuto mutare la voce o il profilo grifagno….
-Forse mio padre potrebbe suggerirci qualche buona soluzione.
-Chi è tuo padre?
-Mio padre è uno è uno dei più stimati rabbini di Berditchev.
-Sta bene; mandiamo a chiamare tuo padre.
-Il vecchio Abramo arriva…»
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