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1914. Storia di una generazione - Robert Wohl - copertina
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1984
400 p.
9788816401334

Voce della critica


recensione di Revelli, M., L'Indice 1985, n. 4

La "generazione del 1914" comprende, in realtà, una pluralità di generazioni. Quella dell'interventismo, in primo luogo, (i "cavalieri della morte"), mossa da una mistica "domanda di assoluto", da una pragmatica volontà di azione in contrapposizione con il relativismo politico e culturale della III Repubblica francese, con l'"ordine conformistico" della Germania Guglielmina, con il prudente utilitarismo giolittiano. E la generazione descritta, per quanto riguarda la Francia, nella clamorosa inchiesta del 1912 di Henry Massis e di Alfred de Tarde su Les jeunes gens d'aujourd'hui (cui ampio spazio è dedicato nel volume); la generazione cresciuta in Francia nel mito di Barrés e, ovunque, nel tentativo di liberarsi dell'ennui e del nichilistico senso di impotenza attraverso la mistica guerriera o nazionalistica; la generazione - in buona parte massacrata sui campi di battaglia - di Ernst Junger e di T.E. Lawrence, di Scipio Slataper ma anche di Prezzolini, Marinetti e Mussolini.
In secondo luogo la generazione delle trincee. Quella giunta alla guerra troppo giovane per averla teorizzata, ma che, in un certo senso, nella guerra trovò una patria, un'occasione per incontrare se stessa e misurarsi; per fare del combattimento un'irripetibile "esperienza interiore". La guerra, quella generazione, se la porterà dentro a lungo, fin nel pieno della pace facendo delle trincee il simbolo della propria identità e cercando, nella politica come nell'attività culturale, di prolungarne la potenza esistenziale. Le opere di Drieu La Rochelle, di Henry de Montherland, di Edgar Jung, in cui delusione, tradimento, estenuazione, mistica dell'azione, culto della giovinezza si intrecciano inscindibilmente, bene esemplificano il contraddittorio universo morale di questi "cavalieri del nulla".
Infine il terzo strato generazionale. Coloro che dell'esperienza bellica vissero solo i postumi; la caduta dei miti, la frustrazione degli "eroi" e che ne maturarono un gelido senso di inutilità e un rabbioso spirito di rivolta. E la generazione dei Crouzet, dei Luchaire, degli Arland - i "paladini dell'ansia"-; ma anche dei von Salomon, dei Gründel, dei Mosley, e, perché no?, di Céline.
Tutte queste componenti generazionali ruotano, in qualche modo, intorno alla guerra; ne sintetizzano le essenze distruttive, ne riproducono la negatività dirompente contro il vecchio ordine sociale e politico. Tutte interpretano, in fondo, la guerra come "il nuovo che irrompe " e ne fanno, in un certo senso, il codice esistenziale di un'inedita sensibilità. Tutte, infine, testimoniano l'esito catastrofico di un 'esistenzialismo disperatamente proteso alla ricerca del sé nella precipitazione catastrofica dell'evento, al di fuori della razionale processualità storica e della consapevole trasformazione collettiva dell'esistente. Il secolo ne resterà irreparabilmente segnato: i fascismi europei, e più in generale tutti i profondi turbamenti degli anni '20 e '30 ruoteranno intorno ai fantasmi di quelle generazioni perdute.
Di questo panorama ideologico e culturale il volume offre un'utile rassegna, utilizzando come fonti quasi esclusivamente materiale letterario e saggistico. Appare invece assai meno soddisfacente dal punto di vista strettamente storiografico, sia per le tesi sostenute (troppo estesa e assorbente appare la componente fascista, quasi essa abbia costituito non solo l'"essenza", ma l'unica realtà del secolo), sia per le categorie impiegate (l'autore è costantemente costretto a precisazioni terminologiche e metodologiche relative a quel concetto di per sé ambiguo, in buona parte inscindibile dall'uso ideologico fattone dal radicalismo di destra, che è il termine "generazione"). Esso resta i comunque una buona occasione di riflessione sulla centralità della guerra nel tormentato universo esistenziale del XX secolo. 

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