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PAOLO IATAURO.Il libro, che sin dal titolo sembre evocare lo stile argomentativo di Blanchot e quello visionario di Wenders, sia pure con qualche ridondanza letteraria e una certa, diremmo così, ipertrofia decostruzionista (l'autore è, del resto,un ottimo e apprazzato traduttore dei testi più arditi di Derrida),può risultare particolarmente utile ove si cercassero quelle marginali eppure rivelatrici polarità attorno alle quali si agglutinano e saldano alcuni fenomeni sociali,politici e comunitari del nostro tempo. Incentrato precipuamente sul dispositivo che microfisicamente regola i rapporti d'inclusione ed esclusione sociale,nel libro si tematizzano talune figure archetipiche come lo straniero e l'ospite,quali modalità che permettono esemplarmente di definire la questione: "chi è il cittadino?".Attento all'attuale dibattito americano sulla «società giusta»(Rawls, Rothbard, Nozick)condotto sia dai liberals che dai communitarians,l'autore ritiene riduttiva quella «concezione del legame civile come "problema da risolvere"». L'assunto di Garritano è la necessità di un dovere etico che ci riconduca al nocciolo istitutivo di una questione rimasta inevasa:il problema di una legge che «mente rispetto alla propria origine». Attraverso una rilettura "militante" della filosofia contemporanea francese, e l'uso del détournement, con un'attenzione particolare a Lévinas, Garritano mostra come l'ipostatizzazione del «principio di identità» in chiave teoretica (e, implicitamente, in chiave di selezione sociale)propria dell' Occidente,abbia prodotto «un umanesimo fondato sulla forza, sulla violenza, sulla costruzione di una tipologia di uomo frutto della selezione, uomo non più presente sulla Terra, dileguato negli spazi, invisibile, messo a morte dalla sua stessa idea di uomo». La radice della questione, dunque, va ricercate, con foucaultiana sottigliezza, nelle contraddizioni reali e socio-economiche e nell' ontologia dell'oikos,nel nomos cui esse affondano.PAOLO IATAURO
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